2016 07 08 Beti Otmaro
Alp da Buond
Beti è un gran lavoratore, la sua energia è travolgente, ha una bella moglie, dei figli pieni di vita come lui è un grande alpeggio da tenere sotto controllo ogni estate. Quando il lupo è tornato a farsi vedere in Svizzera, ha fondato l’associazione per un territorio senza grandi carnivori. Con lui si sono schierati altri allevatori, politici e personaggi di ogni specie, dall’avvocato al banchiere. Un territorio senza grandi carnivori è quello che si è riusciti a ottenere in secoli di custodia degli animali, il loro ritorno significa tornare indietro senza poterpiù neanche difendere i propri animali da loro.
Titolare di azienda agricola, in inverno tiene in stalla i suoi 80 bovini da carne, in estate porta in alpeggio con l’aiuto di un operaio e della moglie che conduce la casa, 500 bovini di cui 40 vacche in lattazione, 200 madri con i vitelli, i giovani e due tori oltre a venti cavalli. Sono numeri molto elevati rispetto a quelli degli altri allevatori della zona.
L’alpeggio è sui due versanti del passo del Bernina e nella valle di fronte all’Alp da Buond, erano tre alpeggi distinti riuniti da Beti per lavorare meglio. Su questo enorme territorio passa la strada del Passo e il trenino più alto di Europa che devono essere recintati oltre a sentieri e piste ciclabili che impongono l’apertura di cancelli. Il risultato sono 30 km di recinti con cui Beti evita che il bestiame esca sulle strade, i turisti devono ricordarsi di chiudere i cancelli che attraversano e gli animali devono stare più tranquilli possibile.
La gestione del pascolo diviso in lotti caricati con numeri adeguati di animali, che scelgono liberamente dove mangiare, dormire, partorire, permette di mantenere la mandria in ottimo stato e salvaguardare la cotica erbosa.
Qui in Svizzera i contributi sono elevati e le strutture adeguate, la differenza la fanno l’impegno e il lavoro ma un alpeggio così grande non è la norma, in generale la topografia di queste montagne obbliga a piccoli numeri ed è sempre stato così. Questa stessa azienda ha dovuto cambiare direzione, prima avevamo mucche da latte, mungevamo e facevamo formaggio, ma i contributi sono gli stessi che per le mucche da carne e non conviene più. La mungitura e la trafila del latte richiedono molta più manodopera è una presenza costante. Lasciando perdere il caseificio abbiamo guadagnato del tempo, ma abbiamo perso qualcosa.
Tradizionalmente greggi e mandrie venivano portate dai prati di fondovalle ai pascoli con tappa intermedia in zone di media montagna che erano i maggesi e che adesso sono quasi tutti seconde case.
Ci sono allevatori che prendono i cani da guardiania e dicono che il lupo non è più un problema, a quanto mi risulta si trovano in posti dove non c’è passaggio di turisti e hanno pochi animali, come è sempre stato storicamente.
La presenza di grandi predatori che costringe a recintare, chiudere in stalla, ammassare gli animali, obbliga a forzare la mandria a unirsi provocando un inasprimento delle gerarchie e una concentrazione di concime da smaltire che, sparso sui pascoli li arricchisce, ammucchiato intasa di nitrati il terreno. Il costo del recinto inoltre non è il recinto stesso, quanto la sua gestione.
Storicamente molte aziende hanno sempre avuto piccoli numeri di pecore custodite saltuariamente, se tornano i grandi predatori queste piccole realtà spariscono e con loro sparisce un saper fare è una conoscenza del territorio. La missione della politica agraria dovrebbe essere, tra le altre cose, di combinare la vita di cento anni fa con la vita di oggi, queste piccole realtà fanno parte di una tradizione che se non si fa niente è destinata a estinguersi, come i dialetti e le altre radici particolari di ogni valle che una volta omogeneizzate, sono perse. Se hai delle radici salde puoi aprirti agli altri. Così no.