2016 08 10 Stefano Polliotto
Carrozziere di mestiere, fotografo naturalista di anima e corpo.
Il padre era cacciatore, da quando era piccolo è sempre andato a cercare gli animali con lui, un giorno ha preso una reflex di quelle abbordabili, una Yashica con l’obiettivo di 35mm ed è andato da solo a cercare cervi. Per fotografare i cervi senza farli scappare con quel l’obiettivo ha dovuto affinare tutte le capacità apprese dal padre negli anni. Con il tempo si è procurato attrezzature professionali ma quell’abilità di nascondersi ai selvatici è quella che gli permette anche adesso di avvicinarsi ai lupi senza che se ne accorgano.
I primi video li ha girati nel ’91 sul bramito del cervo, dal ’93 ha cominciato a trovare zampe e pezzi di carcasse, pensava che fossero opera di cani reinselvatichiti. Solo nel ’97 si è saputo che i lupi erano tornati e ha iniziato a cercarli.
L’equipaggiamento che si porta dietro nelle sue uscite consiste in telecamera, ottiche, cavalletto e viveri e pesa tra i 14 e i 15 chili.
Suo padre non è più cacciatore ed è in pensione e adesso si diletta ad occupare il suo tempo libero andando in avanscoperta in cerca di lupi mentre lui è in carrozzeria a lavorare.
Un vento che porta via, gli ultimi aghi dei larici si staccano in un baluginare dorato, la foresta lascia scoprire il panorama che ha nascosto per tutta l’estate, il rumore dei rami che fischiano e sbattono copre anche quello dell’autostrada che corre nel fondovalle ottocento metri più in basso.
Un capriolo con la coda controvento sta immobile e aspetta che tutto si calmi. Pochi metri più in là un lupo sta seduto e aspetta che tutto si calmi. Sopra di loro Stefano riprende la scena e non si muove neanche lui. Colori della terra: oro, bronzo, marrone, argento e grigio. Colore del cielo: azzurro quasi blu.
Passi di due persone che parlano ad alta voce con zaini e vestiti variopinti solcano il sentiero sottostante ed escono di scena. Il capriolo li segue con lo sguardo e sta lì, il lupo anche, loro non sapranno mai quanti esseri li hanno guardati mentre passavano.
Un vento che porta via. Gli esseri animati immobili, solo i loro peli arruffati fanno capire che non sono statue, gli alberi in un continuo ondeggiare e sbattere.
Quattro gennaio millenovecentonovantotto, risalivo dal Puy e mi tenevo in cresta perchè ero arrivato fin lì senza racchette nè ski e negli avvallamenti la neve era troppo morbida per tenermi a galla. In un attimo sono apparsi e scomparsi diciotto cervi al galoppo in salita che risalivano da quel vallone lì davanti. Dietro di loro c’erano tre lupi. Sono passato di corsa proprio da qui per aggirarli e riprenderli ma sopra al lago si sprofondava e sono finito nella neve fino alla cintura. Alcune immagini erano rimaste intrappolate nella telecamera, sono tornato giù e non ho detto niente a nessuno per qualche giorno prima di decidermi.
Nei primi anni li ho visti tre o quattro volte all’anno con una media con cento, centoventi uscite, nel 2008 una ventina di volte. Nell’estate 2010 avevo trovato il rendez-vous dove sono cresciuti i cuccioli e li ho visti quasi ogni volta che sono uscito. Quell’estate ne erano nati nove: uno sproposito, li ho seguiti fino all’inizio del 2011 ma erano sempre di meno, due sono finiti sotto a delle auto, altri cinque uccisi o avvelenati, di due si sono perse le tracce, poi non ho più trovato neanche gli esemplari alpha. Solo più uno rispondeva agli ululati ma era un verso disperato, probabilmente era la femmina perché dal 2013 è arrivato un maschio dalle Marittime e la nuova coppia ha formato il nuovo branco.
Quell’inverno ero sulle tracce di un lupo che viaggiava spedito con una meta precisa e l’ho trovato che scavava sotto le pietre di fronte a una postazione per cacciatori a vista di un’altana. Sotto quelle pietre c’erano i resti di un altro lupo a cui erano stati portati via testa e coda e di cui nel giro di poco sarebbe rimasto ancora meno.
Mi è sempre piaciuto riprendere animali difficili da avvicinare, il cervo all’inizio era difficile, adesso mi capita che inseguendo le tracce dei lupi mi trovo a passare attraverso il branco, loro non si spostano neanche e non mi fermo neanche a fotografarli. I lupi li ho trovati ma continuo a cercarli credo che sia il loro sguardo a catturare. È uno sguardo diritto che ipnotizza. È intelligente e difficile da vedere e sorprendere.
Penso che sia arrivato spontaneamente di valle in valle, se lo avessero messo si sarebbe spostato, con gli spostamenti che è in grado di fare e con la testa anarchica e imprevedibile che si ritrova, non credo che si possa dire a un lupo dove stare e cosa fare.
Era agosto, poteva essere il 2000, c’era una di quelle serate culturali per i villeggianti di Oulx e c’erano fior fior di professori che parlavano del ritorno del lupo e di come si stavano modificando gli equilibri della fauna selvatica. I mufloni, introdotti da cacciatori e insediati sullo spartiacque tra Val di Susa e Val Chisone erano in precipitoso aumento quando non avevano predatori ma essendo molto mansueti e originari della Sardegna dove non avevano mai dovuto preoccuparsi di altro che dei cacciatori, avevano subito per primi un’evidente decimazione. I caprioli si erano abbassati di quota ed erano diventati molto più schivi. I cervi continuavano a fare i re della foresta ma anche loro avevano dovuto imparare a spostarsi di più.
Dati e discorsi si alternavano con video commentati personalmente da Stefano che aveva passato due inverni in cresta riprendendo i lupi e da quando sono arrivati non ha mai smesso.
Forse quella sera è cominciato questo viaggio. Ho capito che molte volte il lupo mi aveva vista senza che io lo vedessi e che se avessi mai incrociato il,suo sguardo, lui sarebbe scappato come un’ombra.