2016 08 17 Cecco Dematteis e Anna, sua moglie.
Maestro del legno e della pietra.
Rore
Cecco è venuto in Val Varaita con l’idea di vivere dignitosamente la montagna assorbendo la tradizione e adeguando le sue abitudini al tempo che corre attraverso la tecnologia.
Alpinia è un libro avventuroso senza essere un libro di avventura. Parla del popolo delle Alpi, dalle Marittime alle Giulie, e insiste sulle caratteristiche comuni sui due versanti di tutte le genti che ci hanno sempre vissuto. L’epoca descritta è quella in cui il progresso causa spopolamento e degrado di aree distanti. Le moderne tecniche permettono di razionalizzare le risorse, in modo da migliorare l’esistenza di chi resta e quella degli animali che gli danno da vivere.
L’autore è Luigi Dematteis che, per indagare sui temi esposti nel libro, le ha percorse a piedi e con gli ski e successivamente con un furgone che era la sua base logistica per avvicinarsi il più possibile si posti più lontani in autonomia, cercare e investigare con testi e fotografie le persone di cui il libro parla.
Era il padre di Cecco e dei suoi fratelli.
Il lupo? È un predatore e la convivenza con l’allevamento di animali domestici più o meno in libertà è difficile: colpisce in momenti inaspettati, ha un territorio enorme, il centro è dove nasce la cucciolata ma percorre tranquillamente cinquanta chilometri in una notte. Non saprai mai dove e quando può arrivare.
– Ero in alpeggio sotto il passo di Luca. A inizio stagione ci vuole sempre un po’ di cura per rimettere in ordine la casa dopo tutto l’inverno. Ho sentito agitazione e mi sono sporta a vedere, i cavalli erano spaventati e c’erano due lupi che avevano già scartato il puledro dal resto del branco. Ho urlato e sono scomparsi. Il puledro ha passato l’estate, la madre no. È scomparsa e non l’ho mai più ritrovata, nè lei nè la campana che aveva al collo. Era una brava cavalla e aveva una bella campana.
In questa valle è stato cacciato finchè non si è estinto da metà dell’Ottocento ma è tornato da una decina d’anni. La prima volta che l’ho visto ero in auto e lui camminava lungo la strada asfaltata. Ha scartato, ha fissato i fari che lo hanno abbagliato ed è scomparso.
Non c’è paura del lupo ma se ne parla. Il suo ritorno non è stato accettato da tutti, tra Brossasco e Venasca ne è stato appeso uno a un cartello stradale. Non c’è paura del lupo ma se ne parla. A Bellino qualcuno si è opposto, si sono fatti sentire e hanno ottenuto indennizzi, reti e cani. Nonostante la scarsa accoglienza si sta comunque espandendo. Stanno qui davanti sul versante a mezzanotte tra qui, San Damiano e Roccabruna. Altri partono da Casteldelfino, attraversano il bosco dell’Alevè e in un attimo sono al passo di Luca.
L’inverno scorso si è fatto vedere in paese.
A Bellino rimane solo più un gregge di meno di trecento animali, a Ponte Chianale non ce ne sono più. Prima potevano stare da sole, quando è tornata necessaria la sorveglianza uno per volta hanno lasciato perdere. Al lago di Luca negli anni ’80 c’erano quasi settecento pecore nel pascolo dove adesso teniamo i cavalli. L’allevamento ovino era già in calo: non rende molto, la lana non vale niente e la vita che si fa per guardare le pecore è dura. I pascoli abbandonati sono sempre di più, i primi a rimanere in balia delle piante pioniere sono quei territori marginali dove solo i piccoli erbivori potevano arrivare ma gradualmente la foresta si sta impadronendo di interi versanti dove i pochi prati resistono come isole dove c’è qualcuno che tiene pulito. Ontani, rododendri e ginepri preparano l’insediamento del bosco chiudendo con spine e radici il passaggio. Quegli angoli ormai impenetrabili sono abitati da chi riesce a trovare una pista per infilarcisi. Nessuno può sapere con certezza cosa si muove in quelle macchie.
Chi ha lasciato le pecore ha cambiato lavoro o ha dato la precedenza al lavoro invernale, molti hanno abbandonato e basta. Non c’è stato un ricambio generazionale, molti pastori erano persone sole legate alla loro vita che essendo così dura non gli ha consentito di formare famiglie. Finiti loro è finito tutto. Anticamente c’erano famiglie di pastori ma non qui. La famiglia va avanti, un uomo solo no.
Gli alpeggi che tengono sono quelli dove arriva una strada e gli allevatori salgono dalla pianura, non hanno nessun legame con la gente del posto. La razza principale era la piemontese, tutti mungevano e lavoravano il latte, fino a venticinque mucche venivano tenute vicino all’alpeggio e munte a mano mentre le asciutte venivano portate ai pascoli alti. Oltre che per la produzione erano selezionate per il lavoro. Ora munge solo più chi può farlo a macchina e ha un locale di lavorazione del latte adeguato alle caratteristiche richieste dalla legge. Tutti gli altri allevano animali da carne e la razza principale non è più la piemontese.
Il lupo fa parte dei cambiamenti in atto ma i pastori lo vedono diversamente dagli altri: se non fosse stato protetto gli avrebbero tirato, adesso colpire un lupo è un delitto e si finisce nel penale. La pastorizia e la cultura che c’era dietro non sono ancora estinte ma quasi.
Siamo stai insieme qualche ora, poi era ora di partire e mentre sellavo sentivo Cecco comprendere ogni mio gesto. Tanti anni fa lui era partito dall’Ariege con quattro merens, il cavallo dei paesi di lingua occitana ed era arrivato qui a piedi attraversando il sud la Francia. Non abbiamo parlato del suo viaggio, so che c’è stato e che mentre partivo anche lui partiva perché sapeva cosa significa.
Ho sellato, ormai faceva caldo ma il sentiero risaliva il versante a mezzanotte, quello dei lupi. La mulattiera era larga e faceva trasparire secoli di cure, pietre ben messe, canali e curve disegnate per salire comodamente. La vegetazione ai lati se ne sta impadronendo deviando l’acqua. Il terreno non era pestato. Poche persone passano da lì.