La gher del campione

Da lontano le gher si assomigliano tutte

Nella gher del campione il tempo si è fermato. Sono scesa di sella lì, davanti alla sua porta. La porta era aperta. Lui è uscito e prima di tirare fuori la cartina gli ho offerto una sigaretta. Lui ne ha tirata fuori una, poi ha tenuto il pacchetto tra le mani per un momento e se lo è messo in tasca.
Mi ha proposto una tazza di tè, ho impastoiato Azimuth e Tgegherè e sono entrata.
Come ogni volta sono rimasta stupita da quanto siano diverse queste tende all’interno. Da fuori si assomigliano tutte. L’arredamento di ognuna è disposto nello stesso modo. Ognuna è diversa dalle altre.
In questa regnavano ordine e pulizia, ma c’era un qualcosa di grigio che copriva ogni cosa. Dietro la stufa c’era il bricco del tè che era freddo ma buono. Di fianco al bricco c’era una ciotola piena di harold e borzok (sorta di pane fatto con una pastella lievitata velocemente e fritta nel grasso). Anche quelli erano ingrigiti, come se fossero lì da anni.
Vicino all’altare c’è sempre un quadro con istantanea che ritraggono i membri della famiglia. Qui c’è n’erano due: uno a destra e l’altro a sinistra. Le foto erano molto sbiadite. La moglie del campione si vedeva solo in due di esse: giovanissima e bellissima, ingrigita anche lei. In tutte le altre c’erano lui e i suoi tre figli.
Ad ogni momento si sporgeva dalla porta e guardava verso valle.

Il campione con alcune delle sue medaglie.

Una delle foto riprendeva un momento della gara dei bambini al Naadam. Gliel’ho indicata e lui mi ha mostrato la medaglia che aveva vinto in quella gara e mi ha detto che tutta la fila di medaglie di quel drappo di stoffa erano state vinte da lui alle gare con i cavalli. Altre medaglie erano state vinte da lui alle gare di lotta e adesso è campione di tiro con l’arco. In mezzo a tutte le medaglie troneggiava un piatto argentato che mi sembra di aver capito essere un premio di buon cittadino. Una delle foto mostrava lui mentre lo riceveva dal presidente della repubblica a Ulan Bator.
Non c’era latte in questa gher, lui ha solo capre. Insieme al tè freddo mi ha offerto delle fette di pane e del latte condensato.

Il campione si è messo il cappello per farsi fotografare insieme alla testa dell’orso che ha ucciso tanti anni fa. Sulla destra, il piatto argentato di cui è ancora più fiero.

Per quanto mi fossi guardata intorno, non avevo visto la cosa più incredibile di questa tenda perché, seduta dov’ero, si trovava dietro le mie spalle. Me l’ha mostrata lui prima che uscissi: la testa impagliata di un orso, ingrigita come tutte le altre cose. Si è battuto la mano destra sul petto prima di indicarmela.
Era la tenda di un campione. La gloria di grandi momenti riempiva ogni angolo. Lui e la scintilla potente del suo sguardo sembravano l’unica cosa sopravvissuta. Si capiva che sarebbe stato contento se mi fossi fermata lì, ma ero partita da meno di un’ ora, la giornata era perfetta, i cavalli volenterosi e me ne sono andata. Spero che la persona che stava aspettando sia arrivata presto a riaccendere la scintilla dello sguardo glorioso del campione.

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