Il pacco con i pezzi di ricambio per il fornellino doveva arrivare alla posta di Ulangom mercoledì. Giá fantasticavo caffé nel saccopelo e manicaretti di ogni tipo che finché sero stata a soffiare sulla cacca di yak avevo bandito dal menú. Quel pacco era partito da un mese dalla Val di Susa e aveva già passato due dogane per uscire dall’Italia ed entrare in Mongolia. La posta aerea interna lo ha bloccato. Mi ha telefonato Yesulen per avvisarmi e a momenti crollavo. Lei era nel Gobi e fino a giovedì non poteva fare niente. Io ero a mille chilometri di distanza con il visto in scadenza. L’idea di prendere un autobus per Ulan Bator e andarli a recuperare personalmente era assurda. Dovevo aspettare. Yesulen é arrivata dal Gobi alle otto di mattina e, anziché andare a riposare, si é fiondata alla posta a recuperare il pacco e lo ha affidato all’autista del pullman che sarebbe arrivato venerdì sera ad Ulangom.
Lei é quella delle soluzioni. Non se ne fa scappare una. Io dovevo solo trovare un posto ragionevolmente vicino alla cittá ma accettabile per due cavalli e aspettare.
Qui é troppo vicino, qui ci sono troppe gher e l’aria sa di latrina, qui non c’é erba, qui non c’é acqua. Lo so. Sono incontentabile, ma dovendo stare ferma, volevo che i cavalli recuperassero il più possibile.
L’ho trovato questo posto. I bambini sono andati a chiamare Ahnyy. Lei ha chiesto a due signori che passavano in moto con aria spavalda. Mi hanno indicato quale erba potevo far mangiare ai cavalli, ho montato il telo e appena é stato tutto al sicuro e i cavalli hanno cominciato a pascolare, si è scatenato un finimondo: vento e tempesta sotto un cielo nero come Tgegheré.
Spariti i bambini, spariti i motociclisti, abbassato il telo al massimo per non farlo volare via, mi sono nascosta lì sotto e in un attimo é diventato casa.
I figli di Bold sono sette e qui ci sono tre figlie con i loro figli. La gher é di sei muri e loro dormono, vivono, mangiano lì. Biciclette, palloni, basta un pezzo di legno e questa banda di nanetti si inventa un gioco. Li ho sempre sentiti ridere e vociare.
Nella tenda dopo cena, Ahnyy massaggiava le spalle a sua madre. É tornato il figlio militare in licenza e lui massaggiava la schiena a suo padre. Ogni contatto trasmetteva affetto.
Tagliati i capelli, non ci sopportavano più. Un attimo dopo é arrivata Ahnyy e mi ha convinta a farmi massaggiare la testa. Diffidente, ho accettato. Ogni punto che toccava mi sembrava che facesse uscire cinque millimetri di un catrame liquido che mi foderava la testa. Credo che se ne sia accorta. Quando ha finito ha battuto le mani contro la terra come per liberarsi di tutti i mostri che aveva trovato nella mia testa. Adesso credo di aver bisogno di qualcuno che mi massaggi tutti i giorni fino alla fine del viaggio. Ricambierei volentieri.
Qui c’era anche la lavatrice e anche se l’avevo lavata due giorni prima, ho rilavato la felpa. É un’altra cosa.
Gli scarponi urlavano pietà. Ho comprato l’olio benedetto in un negozio buddista. Lo so che é benedetto, ma é olio di paraffina. Spero che benedica i miei passi, l’ho usato per ingrassare sella, scarponi, bisacce e testiere. Nessuna di queste cose lo ha respinto.
Intanto é arrivato il venerdì e sono arrivate le cinque.
Adesso il fornello funziona, Marco mi ha spedito anche delle calze di cotone che qui sono introvabili e le medicine. Sciolti tutti i nodi, scarpe, sella e coperte in ordine e un gilet nuovo nuovo con cui affrontare albe e tramonti da qui alla prossima estate.