Un giorno Miro incontrò un attore della Commedia dell’Arte. Era al bar e si stava leggendo il giornale e l’attore si era seduto al tavolo di fianco aspettando che lui finisse per potersi aggiornare sulle vicende del mondo.
Stava seduto lì e si beveva un lungo caffè con il latte freddo. Era vestito in borghese e le uniche parole che aveva tirato fuori gli erano servite per ordinare il caffè, ma la sua voce era così melodiosa che tutti erano ammutoliti. Nessuno sapeva chi fosse né da dove venisse, ma tutti capirono che la sua parte era quella di arlecchino.
Ci sono attori che arrivano a recitare anche nella propria vita e sembra sempre che si stiano raccontando delle balle e altri che per meglio entrare nella loro parte sulla scena se la portano addosso per sempre diventando la maschera che portano sul palcoscenico.
A quelli la maschera non serve neanche più.
Miro non parlò mai con lui né gli capitò di vederlo a teatro, settimane dopo ne riconobbe la faccia in un manifesto e si augurò di avere anche lui un tale rapporto con la “sua” maschera come gli era sembrato di riconoscere in quell’uomo senza nome passato alla storia del bar come arlecchino.