Nawmosjka, ventidue febbraio duemiladiciannove
Era tutto fermo. Dovevo di nuovo aspettare. Aspettare il maniscalco, aspettare i documenti della quarantena, aspettare i file delle mappe per proseguire. Aspettare, aspettare, aspettare: tutte pedine che avevo avvisato tre mesi fa. Scacchiera immobile, telo montato nello stesso posto per dieci giorni, fuoco acceso. Il fuoco del campo e i muscoli in movimento scaldano in modo diverso.
Una domenica pomeriggio girovagavo sulle sponde dell’Irghis guardando i mulinelli di neve portati dalla bufera. Sulla pista che porta al monastero c’erano tracce di un cavallo al trotto. Per gioco mi sono messa a seguirle. Silenzio, mulinelli, rami secchi che si rompono al vento. Per mezzo minuto il silenzio bianco di cielo e terra si è spezzato: un cavallino nero al trotto veloce tirava una slitta condotta da un signore dall’aria allegra, dietro era seduta una signora dai tratti asiatici. Ridevano e l’aria rideva con loro.
Quello era il cavallo che stavo seguendo. Fine del gioco, inizio del gioco. L’indomani sono tornata negli uffici della stazione veterinaria.
Posso partire venerdì!!!
Non so se é stato quel cavallino nero a smuovere tutto, o se semplicemente era ora che si allineassero le stelle per la partenza. So che da quel momento in poi é arrivato tutto di colpo e che adesso siamo davvero in marcia da quattro giorni. Ogni tanto il vento molla e sembra che faccia caldo.
Quel cavallo arrivava da Vetka, sulla riva opposta dell’Irghis rispetto al monastero che ci ospitava. Abbiamo camminato sul fiume gelato per tre chilometri seguendo la pista della slitta di Sergej, da casa sua comincia il secondo tempo del viaggio, la signora che era seduta dietro nella slitta era sua moglie. Loro vivono in questo villaggio dove non c’è neanche il negozio, hanno cavalli, mucche, pecore, galline, oche e piccioni. D’inverno arrivano con la slitta fino al monastero e lí qualcuno gli porta la spesa dalla città, d’estate ci sono la telega e il ponte pedonale dei pescatori. Il ghiaccio dei fiumi non é più sicuro. C’é solo meno dieci e comincia a fare crepe. Per attraversare il Volga dovrò per forza salire su un ponte.