A Solanovka ci eravamo fermati un paio d’ore a pascolare l’erba di Ivan. Lui è l’istruttore della scuola di volo, ma ha sempre avuto la passione per i cavalli e intorno alla casa girava la sua vecchia cavalla da gara dallo sguardo dolce e smagrita dall’età. Il grande recinto ospitava tre cavalli yakuti, razza equina in grado di sopravvivere all’aperto nei luoghi abitati più freddi della terra. All’equinozio d’autunno, nel giro di pochi giorni il loro mantello si infittisce diventando una fitta pelliccia. Uno dei tre si stava preparando all’inverno proprio in quei giorni e mi ha fatto vedere i riccioli che si stavano infittendo sulla sua schiena. Era mezzogiorno e splendeva il sole e, anche se eravamo in Siberia, non eravamo in Yakutia e il cavallo era accaldato.
Il cavaliere volante
Dalle alture della steppa, si può guardare lontano. Sulla mappa le lingue di foresta che serpeggiano tra l’erba gialla sono intorno ai corsi d’acqua; gruppetti di alberi più radi in posti meno battuti dal vento e lontani dalle paludi sono quasi sempre villaggi. Ogni casetta è recintata con alte staccionate di legno che servono a non far entrare gli animali che pascolano fuori. In ogni recinto crescono alberi, il più frequente è la betulla, ma anche conifere e sorbi si alternano qui e là.
A volte per avanzare oltre il panorama visto dall’alto ci vuole un giorno, altre volte due, dipende da quanto la geografia mi permette di alzarmi per traguardare.
E’ stato bello stare un momento in quella casa sulle cui pareti erano appese foto di tutta la Russia fatte dall’aereo: La Crimea, il Don, gli Urali, la Kamtchatka, lo Jenissei e il Volga. Tutta la Russia mischiata senza geografia, in disordine di bellezza.
Vicino alla casa c’era una grande betulla.
Lui sapeva tutta la strada che avevo fatto e quella che dovevo fare: ci è volato mille volte!