1922: gli uomini schiacciati dalle turbolenze della prima guerra mondiale e dell’epidemia di spagnola, tornano a sognare e progettare quello che si era interrotto ovunque per anni in cui l’unico pensiero era stato la sopravvivenza.
Tra il fiorire di idee di quegli anni, vengono fondati i primi due parchi nazionali italiani: il Parco d’Abruzzo su spinta di privati ed associazioni, guidati da Erminio Sipari e il Parco del Gran Paradiso su iniziativa del re.
Sono passati cent’anni.
L’idea di festeggiare questo compleanno con un viaggio a cavallo che mi permetterà di collegare questi due parchi, mi obbliga a molte riflessioni su quante cose sono cambiate in questo strano secolo che ripropone simili nuvole tempestose all’orizzonte.
Sono partita il 10 giugno dalla piana del Fucino per arrivare a Pescasseroli il 15, dopo aver attraversato il Parco regionale del Sirente Velino. Il progetto è di collegare i due parchi più antichi, attraversando tutti i parchi Nazionali nati nei secoli lungo la strada e guardando cosa trovo scritto dietro la cartolina di questi posti magnifici in cui ogni pietra e fiore hanno qualcosa da raccontare. Lungo la strada interrogherò le persone che si occupano di territori protetti e non, su tre argomenti che ritengo significativi per andare a fondo su come è cambiata la fruizione e la protezione dell’ambiente in queste quattro generazioni che sembrano tante, ma che sulla linea del tempo non sono neanche un istante.
I tre temi sono: il ghiaccio che se ne va, il lupo che torna, la foresta che invade i pascoli.
Il dono che vorrei costruire camminando è rappresentato da una piccola borraccia realizzata apposta da Teresio Guiffrey, pisteur di Melezet, poeta e fabbro, saldando due fondelli di tubi dell’innevamento desueti e dismessi. In questo contenitore, fatto di materiali pensati per fabbricare neve artificiale, aggiungerò man mano poche gocce di acqua di ogni sorgente, fontanile o fontana che incontrerò lungo la strada.
A fine settembre farò evaporare il contenuto su un bracere al cospetto del Gran Paradiso, con il sogno che diventi una nuvola, che diventi neve per nutrire il ghiacciaio ormai stanco.
Ormai non ha più senso affliggersi o pensare a come siamo arrivati a questo punto di metamorfosi della natura. Occorre farci i conti e cercare soluzioni che sfondino il cielo plumbeo e ci restituiscano tutte le possibilità che abbiamo sempre avuto di abitare questo mondo con rispetto.
Non credevo e credo sempre di meno all’estremismo misantropo di chi vede nell’essere umano l’unico male del mondo. Credo che sintonizzandoci sulle nostre reali possibilità e pagando agli altri esseri che abitano il pianeta il giusto prezzo per ciò che ci offrono, possiamo fare ancora qualcosa di bello. La questione degli arretrati con cui abbiamo sfruttato oltre misura altri popoli e continenti va affrontata onestamente, credo che sia l’unico modo per avanzare con dignità.
Custode e Tcigherè non si pongono questioni di questo genere. Mi stanno aiutando a realizzare anche questo progetto perchè ormai i nostri destini sono intrecciati da tanti chilometri percorsi insieme.
Custode come sempre avanza con il passo di un metronomo e Tcigherè con quello di un fuoco di paglia, lo fermerò prima che si spenga, so che è fatto così e che adesso ce la sta mettendo tutta. So che quando fa parte della squadra è meglio che quando devo fermarlo. Devo accettarlo così come è.
Isotta Raminga ha trent’anni, dopo tanta strada fatta insieme senza passare mai un’estate in pianura, adesso è a casa, Marco, Silvio, Valeria e Martina si occupano di lei.