Conversazione con Enrico Camanni e Mauro Ferraris
e presentazione del libro
Giovedì 27 ottobre 2016 alle ore 18.30
Presso la Libreria la Montagna
via Sacchi 28 bis – Torino
Seguirà aperitivo / Ingresso libero
http://www.librerialamontagna.it/
Racconti di storie successe lungo il cammino di Santiago durante un pellegrinaggio a cavallo. Aria aperta, una meta da raggiungere, una strada da scoprire, sono gli ingredienti di una storia che è l’intreccio delle storie di ogni luogo attraversato e delle persone che in quei luoghi vivono. “Di fronte le cime di frontiera, i piedi sulla Terra di Nessuno, sali in sella e il confine ti rimane addosso. Non sei per terra e non sei per aria. In quel momento sei tu e sei tutti quelli che sono saliti in sella prima di te. Se non ci fossero stati, il cavallo si sarebbe forse già estinto. Sei tu e sei loro: cacciatore di bisonti, cavaliere della Tavola Rotonda e pony express, in un istante che non ti appartiene ma che puoi sentire.”
2016 08 24 Katrin Benz
Pastora
Vacherie de Saint Saveur
– La nebbia era tale che, solo fidandomi della memoria dei miei piedi, potevo azzardarmi a raggiungere il gregge. Ero scesa a far commissioni e stavo rientrando a notte fonda. Per fortuna potevo contare su Benoit che quando si rendeva conto del pericolo restava con le pecore, senza che nessuno dovesse dirglielo.
La frontale illuminava un metro davanti a me e le gocce sospese riflettevano un fascio di luce bianca tutto dove guardavo impedendomi di vedere cosa ci fosse davvero. In mezzo alle rocce a sinistra del sentiero ho sentito uno strano ululato, non era potente come quando i lupi cantano, sembrava strozzato come un tentativo di ululato. Ho puntato la pila nelle rocce pensando che fosse Benoit che mi faceva uno scherzo e non ho visto niente ma ne è partito un secondo e poi un terzo. Il più vicino non poteva essere arrivato da più di un metro dal mio orecchio e quel furbetto continuava a non farsi riconoscere. Gli ho tirato una pietra e si è zittito ma dopo tre passi l’ho risentito alle mie spalle.
– beh, se proprio si sta divertendo, io non mi sto divertendo per niente.
Ho raggiunto il gregge e Benoit era lì nel suo saccopelo infilato dentro un sacco di plastica -non era lui a fare quegli ululati smorzati- che cercava di dormire sotto la pioggia sempre più fradicia. L’ho imitato andando a mettermi dall’altra parte del gregge. Ogni tanto i cani abbaiavano svegliandoci, puntavamo le pile nella loro direzione e vedevamo i lupi scappare ma appena la pioggia mollava, tornavano. Quando erano lontani ululavano e alcune delle loro voci erano come quella che avevo sentito nelle rocce. Non era uno scherzo! Ogni volta che si avvicinavano li respingevamo ma in una notte così non sai cosa può succedere, possono uccidere delle pecore ma possono anche uccidere i cani e finchè non c’è stata abbastanza luce per contarli, ho continuato a temere per loro. Per fortuna a una certa ora diventa sempre giorno ma abbiamo dovuto rimanere lì a turno senza lasciarle mai, non è stata presa neanche una pecora.
– Ecco, ci hanno messo il lupo nero e noi dobbiamo dar da mangiare al lupo bianco per tenerlo a bada.
Quando arrivano in branco sono terribilmente furbi, si mettono d’accordo e sono capaci di istigare un cane per volta portandolo fuori tiro dagli altri per ucciderlo. L’anno scorso ne ho perso uno che non era ancora esperto e non ha avuto il tempo di diventarlo. Altre volte richiamano l’attenzione di tutti i cani su un lato del gregge e intanto uno o due di loro si occupano delle pecore sull’altro lato.
Non è così semplice come dicono, qui ogni volta che salta fuori una nuova astuzia, bisogna trovare il modo di combatterla. Ogni giorno è guerriglia.
– Finchè siamo quassù nel pulito è facile tenere sotto controllo tutto il gregge, mettendosi in un buon punto di osservazione lo si vede tutto. A settembre scendiamo a mangiare l’erba della montagna bassa che è tutta nel bosco. Lì non si vede mai bene tutto e la nebbia non si fa attendere, se manca un paio di pecore non te ne accorgi finché non vai a cercare proprio quelle lì e magari sono state mangiate un paio di settimane prima in un vallone inaccessibile. Là sotto non si vede niente. Le perdi e basta e non puoi neanche richiedere i risarcimenti perché se non c’è il cadavere appena ucciso nessuno è in grado di accertare che una certa pecora è stata uccisa proprio dal lupo e se non trovo i resti, sono io che non sono capace di fare il mio mestiere.
Queste storie Katrin me le raccontava mentre mangiavamo il ratatouille in scatola scaldato sul fornello della capanna alta, proprio sotto la vetta di Mont Saint Saveur.
Katrin è uno spirito libero, nessuno la imbriglierà mai, vive con gli animali da sempre e sia con loro che con le persone si comporta con rispetto. È il rispetto in persona e questo la rende una donna libera.
Raccontava queste storie ridendo della fatica e dell’assurdità della sua situazione. Lei sa di essere come il lupo e come la pecora e ama le sue pecore ma ammira anche i lupi da cui deve difenderle, i suoi cani sono per lei amici preziosi e l’idea di perderne anche uno solo le fa mostrare i denti a chiunque voglia portarglielo via.
È una delle persone più sensibili e forti che io abbia mai incontrato, quelle montagne che nutrono i suoi cavalli e le sue pecore sono parte di lei e sono scoscese e selvagge.
ps: lo stato francese, conscio del fatto che i lupi sono una ricchezza e un problema concede ai pastori diversi aiuti per affrontare la situazione.
Ogni pastore può scegliere due tra i seguenti aiuti:
– reti per costruire i recinti per il ricovero notturno delle greggi
– l’80% dello stipendio di un pastore dipendente che aiuta a guardare gli animali
– cani da guardiania
Katrin ha scelto di farsi aiutare da una persona e di richiedere le reti per i recinti. I cani preferisce sceglierli e allevarli lei come ha seempre fatto.
Giorno di stelle alpine, notte di stelle cadenti. A luglio Benoit fa pascolare le 1500 pecore che gli sono affidate dall’altra parte del crinale, da fine agosto a settembre fa base alla Cabane de la Moutiere dove pensavo di passare la notte.
– È da quando i lupi gli hanno attaccato il gregge che non lo vediamo. Non troverai nessuno lassù. Se fosse passato per andare alla Moutiere, lo avremmo visto passare.
Di solito dove ci sono le capanne dei pastori c’è un pezzo di terra in piano e dell’acqua, pascolo per Isotta e montagne ‘finchè ne vuoi’. Salgo lo stesso. È già il tramonto.
La porta è aperta e nel recinto di rete a monte della casa c’è il gregge.
– buonasera!
– Buonasera! Ma ci conosciamo?
– No, è la prima volta che passo di qui, mi hanno detto che non avrei trovato nessuno!
– Infatti sono appena arrivato.
– Posso accamparmi qui?
– Sì
– Mauro mi ha detto di voler fare un salto qui da te, dopo aver spostato le pecore al recinto della notte
– Allora devo scendere a prendere qualcosa per festeggiare!
– Non ti preoccupare di niente, ho il cilindretto pieno di viveri e ho comprato il pane al forno.
Benoit è passato da una valle all’altra con millecinquecento pecore senza che nessuno se ne accorgesse. Non ha niente ma nella sua capanna c’è un lavandino da cui esce acqua di sorgente. Non c’è la luce elettrica ma c’è un bel mucchio di legna da spezzare per accendere un bel fuoco. Quando entriamo in casa Isotta si mette davanti alla porta, quando andiamo vicino al fuoco, ci segue e si mette in cerchio con noi.
Aspettiamo Mauro guardando il fuoco e Benoit mi racconta cosa gli è capitato la settimana scorsa.
– il gregge si è messo a girare verso un vallone, vedevo la maggior parte delle pecore ma qualcuna rimaneva dietro il costone. Era un pomeriggio molto caldo e non c’era una nuvola.
– Tutto tranquillo
– Di colpo le pecore hanno cominciato a correre all’impazzata andando tutte dietro al costone e in quel nulla il lupo è riuscito a ucciderne due e ferirne una terza al punto che abbiamo dovuto ucciderla.
– Il padrone non vuole prendere cani da protezione e neanche io vorrei dover guardare cosa combinano cani del genere. Abbiamo deciso di spostare qui il gregge in anticipo, il pascolo è più aperto in questa valle e montiamo un doppio recinto per la notte con le reti alte. Il lupo non può entrare lì.
Benoit è un musicista, un animo gentile, la scena del lupo che gli ha attaccato il gregge in pieno giorno lo ha scombussolato, non vuole più fare il pastore.
Entra in casa a prendere una sciarpa e una maglia pesante da infilare sopra al pile e la chitarra. Mentre racconta i suoi pensieri arpeggia e la valle si riempie di malinconia.
– L’inverno scorso la fidanzata mi ha lasciato, ero nella Crau a guardare le pecore. Il padrone di questo gregge ha interi capannoni dove le rinchiudiamo per tutto l’inverno. Passa l’estate a raccogliere fieno sulla sua terra. Lì in Camargue l’erba è preziosa, è marchiata con denominazione di origine protetta, viene comprata a prezzi altissimi persino dagli sceicchi che se la fanno spedire in aereo fino in Arabia. Queste pecore non vedranno mai quell’erba, gli diamo da mangiare le cose più incredibili ma non quello, quando arrivano qui sono magre e sporche perchè non escono mai.
– Ho scritto un poema ripensando agli anni in cui vivevo in Queyras e lavoravo in caseificio. Riguarda la gente di quelle montagne e di titte le montagne del mondo perchè se la gente non le custodisse, non sarebbero come vediamo. Le montagne che amiamo sono così grazie a tutte quelle persone che nei secoli hanno impiegato le loro forze e il loro ingegno per renderle come sono.
– Mischiata alla fatica della vita della gente di montagna c’è la solitudine, una solitudine talmente forte.
– Pensavo alle parole di questo poema, le spostavo e le ripensavo e un giorno all’improvviso, mentre guardavo le pecore, si è infilato un motivo nella mia testa e le parole si intrecciacano una ad una alle note come le perle di una collana.
Solitudine e malinconia si erano disciolte, lui guardava il fuoco sorridendo e intanto suonava. Ogni tanto spostavo un pezzo di legno perchè le fiamme continuassero a rompere l’oscurità. Tutte le volte che alzavamo lo sguardo vedevamo una stella cadente.
Mauro non arrivava e ci siamo mangiati le patate con i funghi. Patate con i funghi in piatti di ceramica e acqua di sorgente in bicchieri di vetro.
È arrivato quando stavamo per andare a dormire portando il suo clarinetto. Spunta un flauto, un altro di tonalità diversa e il loro dialogo di suoni raccontava più storie di mille libri. Suonavano insieme, i lupi erano scomparsi e c’erano solo più le grandi montagne che ci circondavano e che una ad una venivano illuminate dalla luna finchè tutta la valle è diventata d’argento.
Mi sono infilata nel sacco a pelo, Isotta si è coricata vicina a me e loro suonavano ancora.
Nel luglio 2011 a Martinet il mio amico Yves ha subito il primo attacco di lupi dell’Ubaye. Dalla sera al mattino si è ritrovato con ottanta pecore sgozzate di cui era stato mangiato ben poco.
Il gregge era nei prati vicino al paese e quel momento ha scosso tutti. Quando sono andato a trovarlo piangeva. Un lavoro come quello dell’allevatore non può prescindere dal legame con gli animali. Senza un legame il gregge non regge. È una cosa difficile da capire per chi considera la produzione come cifra e magari i macellai come assassini. Sono storture dovute al progresso centrato su pianure e città.
Il secondo attacco è stato a Pra des Chevre, proprio sotto gli impianti di risalita e in una notte sono state uccise 20 pecore. Anche lì ero presente al momento del l’accertamento e questo guardiaparco che era venuto a verificare i morsi prendeva una pecora per volta, la girava, la misurava e annotava i particolari sul suo taccuino senza fare una piega.
Il lupo è arrivato in Mercantour nel 2002, dicono che sia arrivato da solo risalendo l’Appennino valle per valle ma non ci crede nessuno. Il lupo è stato portato. Non è un ritorno naturale. Lo hanno liberato e se ne sono stati zitti zitti, hanno aspettato che si insediasse e poi hanno sparso la notizia.
Il lupo l’ho visto, in inverno gira indisturbato per le borgate per avvicinarsi alle stalle, non è difficile incontrarlo.
Abito fuori dal paese e per arrivare a casa percorro una strada nel bosco dove non c’è molto passaggio. Una volta per poco non ne ho schiacciato uno con la macchina. Erano tre giovani che correvano, sono rimasti abbagliati dai fari quando li ho raggiunti dietro una curva e l’ultimo me lo sono trovato proprio vicino. Mi sono fermato immediatamente per informare gli allevatori a monte e a valle della strada di fare attenzione.
Gli ‘Indignè de l’Ubaye’
Vengo da una famiglia di Barcellonette. Mio padre e mio nonno hanno cercato fortuna in città e io stesso sono stato imprenditore. È d’arte generazioni che la vita della nostra famiglia non è più legata agli animali.
Quando ho scelto di tornare qui ero ormai un cittadino e sarebbe stata una presa in giro fingere di non esserlo. Da cittadino potevo comunque mettermi in gioco in favore di chi non ha mai lasciato questa valle e ha continuato a vivere di pastorizia sugli alti pascoli.
Il ritorno del lupo e la desolazione sul volto di Yves mi hanno portato a prendere una decisione. Ho deciso di fondare un’associazione formata da cittadini come me che non avevano più nessun legame con la terra e che si schieravano in linea di un manifesto che descrive lo scenario conseguente alla presenza di questo predatore sulle nostre montagne.
Il paesaggio che vediamo è opera dei nostri antenati che lo hanno modellato a forza di gambe, di schiene e di braccia. È in via di estinzione a causa dell’abbandono dovuto all’industrializzazione. Chi continua a scegliere di vivere qui con gli animali si deve destreggiare con ricrescita del bosco che assedia i pascoli da ogni lato continuando ad avanzare, sentieri che crollano, burocrazia, limiti dovuti al parco e adesso anche con il lupo.
Il lupo investito dell’aura mistica che lo rende intoccabile agli occhi di chi vive nelle città sale nella piramide al di sopra dell’uomo. È una posizione che toglie l’equilibrio alla gestione del paesaggio di cui parlavamo prima e che deve essere protetto.
– ma negli ultimi anni ci sono stati altri incidenti?
-no, non mi risulta nessun avvenimento esagerato
– e il lupo c’è ancora?
-sì
-ci sono meno pecore?
– i numeri sono paragonabili agli anni precedenti ma molti pastori sono anziani ed è difficile prevedere un ricambio in futuro
MANIFESTO
Fin dall’alto medioevo il nostro territorio non ha mai cessato la pratica dell’allevamento e della pastorizia. Oggi, alla fine di un lungo periodo di recessione economica e di crisi contadina, che ha determinato un grave esodo dalle campagne e dalla montagna, le attività pastorali costituiscono la base e le fondamenta del destino della vallata. Il nostro paesaggio stesso è frutto di questo lavoro da generazioni: senza allevatori, senza greggi questo patrimonio è a grave rischio.
Il Parco nazionale del Mercantour, alle porte del nostro territorio, è diventato un santuario di specie vegetali e animali, tutte risorse viventi delle nostre montagne. Il Parco giustifica la presenza dei lupi come opportunità per gli equilibri naturali utili nel suo vasto dominio. Ma, al giorno d’oggi, a quale finalità risponde l’espandersi del lupo al di là di quello spazio?
Da diversi anni, ben al di fuori dei confini del Parco, i lupi attaccano le greggi nonostante gli allevatori abbiano sempre applicato tutte le misure previste e consentite dalla legge, per evitare le loro predazioni. Queste misure, malgrado costino alla collettività una cifra non indifferente, si stanno rivelando tanto inefficaci quanto inutili. Inoltre, la regolamentazione burocratica imposta, contribuisce all’inevitabile degrado dell’equilibrio ecologico degli alpeggi.
La proliferazione del lupo al di fuori dei confini del Parco costituisce una grave minaccia alla continuità delle attività pastorali, alla conservazione delle greggi e dei pastori. Non è più tollerabile permettere che questa professione antica soccomba ad un tale disordine.
Oggidì i lupi si avvicinano sempre di più ai luoghi nei quali vive la gente di montagna. La letteratura storica lo dimostra: i lupi portarono grave danno alle greggi come agli uomini negli anni passati. L’espansione dell’areale del lupo potrà, senza dubbio entrare in conflitto con le attività escursionistiche. L’economia del turismo non deve essere alterata da animali che hanno “dimenticato” che l’uomo fu un tempo loro predatore.
Per questi motivi è stato creata, da persone che non sono direttamente legate al mondo della pastorizia, una libera associazione che si avvale della legge del 1901. Si chiama: “IL LUPO E GLI INDIGNATI DELL’UBAYE”.
I suoi obiettivi sono i seguenti :
Informare tutta la popolazione dei disastri provocati dalla presenza del lupo; recensirne i danni nel corso delle stagioni, stabilire infine i costi provocati dalla presenza del lupo al di fuori dell’area del Parco del Mercantour.
Sensibilizzare i cittadini affinché possano valutare il crescente stato conflittuale della coabitazione uomo-lupo ed educare i fruitori della montagna al fine di scongiurare la possibilità di drammatici incidenti.
Portare a conoscenza dei turisti e degli amanti della montagna la giusta realtà e le conseguenze di questa innaturale coabitazione.
Ottenere una maggiore giustizia da parte dei pubblici poteri nella soluzione dei contenziosi provocati dal vagare dei lupi.
Creare una partnership con altre assocuazioni che condividono identici obiettivi nelle altre vallate, sia francesi che italiane, mantenere relazioni con i protagonisti della pastorizia, delle associazioni degli allevatori, e, beninteso, i professionisti responsabili della Camera d’Agricoltura delle Alpi dell’Alta Provenza.
IL LUPO E GLI INDIGNATI DELL’UBAYE
Un gruppo di persone residenti nella valle dell’Ubaye a fronte delle gravi preoccupazioni generate tra la gente a causa dell’espandersi dell’areale del lupo al di fuori della zona del Parco del Mercantour e sulla spinta dell’evidente necessità di porre regole certe all’aggravarsi di questo fenomeno, prima che iniziative personali, surrettizie e arbitrarie vengano intraprese da parte di pastori esasperati, hanno creato l’associazione “GLI INDIGNATI DELL’UBAYE”.
L’associazione: è presieduta dal Daniel Spagnou, deputato del dipartimento delle Alpes de Haute Provence ed il consiglio direttivo è composto da Michèle Evin di St Paul-sur -Ubaye, Monique Isaia di Meolans-Revel, Daniel Maitre di Jausiers, Pierre Martin-Charpenel di Barcelonnette, Yves Mazoyer di Jausiers e Christian Michel di S.Vincent-les-Forts.
Lo spirito dei fondatori: La loro azione è disinteressata e non corporativistica in quanto nessuno è allevatore, non sono motivati da alcuna idologia, agiscono semplicemente mossi dal buon senso a fronte delle flagranti ingiustizie nate dalla presenza dei lupi che minacciano gravemente il mondo della pastorizia.
Questa secolare attività presente “ab immemore” sulle nostre Alpi fa parte del nostro patrimonio umano, storico e naturale, occorre proteggerla e incoraggiarla, la qualità stessa del nostro ambiente ne dipende.
In questo spirito essi intendono portare il loro sostegno morale a pastori e allevatori sensibilizzando la grande maggioranza della popolazione dell’Ubaye e tutti coloro i quali frequentano la nostra valle, affinchè i pubblici poteri si impegnino a prendere le giuste e opportune misure nei confronti di un sì grave problema.
Inoltre essi cercano anche l’appoggio delle amministrazione e delle associazioni interessate in Italia, nelle valli, nei comuni, nelle comunità montane, onde cercare una strategia comune e comuni istanze da portare davanti alle autorità preposte dei due paesi e presso la Comunità Europea.
“L’arrivo sulle Alpi francesi di lupi di origine italiana ha brutalmente modificato le regole della pastorizia imponendole pratiche e metodologie da tempo dimenticate.
Ma dopo oltre vent’anni queste metodologie si sono rivelate inutili e insufficienti. Non soltanto queste rimettono in discussione la pratica dell’alpeggio, periodo di risorse indispensabile sia per gli animali che per gli uomini, ma si rivelano assolutamente inefficaci se riferite al tasso di predazione in costante aumento. Soprattutto degradano seriamente l’immagine della pastorizia a frone degli altri utilizzatori della montagna: i cani di protezione sono spesso causa di liti e conflitti, oltre che soggetto di rischio per gli escursionisti, il raggruppamento notturno delle greggi provoca degrado del suolo e inquinamento.
Il colmo per una attività preoccupata del buon utilizzo degli alpeggi…”
Marc Vincent in “Les alpages à l’épreuve des loups”
l’ultimo capitolo del suo ultimo libro ‘Alpi ribelli’, edito da Laterza è dedicato al lupo: l’ultimo ribelle.
che cos’è il lupo?
Il lupo è sicuramente il selvatico.
Da un lato è il fascino del selvatico:
Cosa mi ha spinto alla montagna è sicuramente il fascino della natura selvaggia, non sono le pareti o le grandi imprese e il lupo è sicuramente il simbolo di tutto questo.
Dall’altra parte è il selvatico che ci fa paura: quella parte di noi che non conosciamo né vogliamo conoscere fino in fondo.
è una figura in chiaroscuro, può essere la cosa più ancestrale del mondo, ma può anche essere attualissimo perché ne sentiamo la mancanza: diventa la mancanza dell’aspetto selvaggio nel nostro modo di vivere. Il lupo ci interpella su questo, con tutte le sue contraddizioni.
è anche un ostacolo: uno che mangia le pecore, uno che dà fastidio, uno che non c’entra niente con il nostro modo di vivere e sconquassa un po’ le nostre certezze.
hai esperienza di incontri con il lupo?
purtroppo no e mi dispiace perché l’incontro è quello che materializza l’immagine, così è stato con gli stambecchi e i camosci, con l’orso nel Parco Nazionale d’Abruzzo, l’aquila, il gipeto. Sono tutti incontri che lasciano una sensazione forte.
Forse è anche un bene che non sia mai accaduto, posso sempre sperare di incontrarlo, magari sarà una delusione, magari è piccolino,
persone a cui vuoi bene che lo hanno incontrato? cosa ti hanno fatto arrivare del loro incontro?
no, al volo mi ricordo una cosa, una giovane madre di Prali che diceva: ‘noi non abbiamo niente contro il lupo, ma quando i bambini vanno in piazza al mattino ad aspettare il pullman e ci sono i lupi che vanno a rovistare nei bidoni della spazzatura, fa un po’ impressione. Ormai il lupo è una presenza a suo modo domestica.
Per un abitante di Pinerolo è un’idea impensabile che il lupo conviva con i propri figli, Prali è poco distante.
che cos’è la paura del lupo? La paura di un essere che non può farci niente è irrazionale. Una volta si pensava che mangiassero i bambini, ma questo non accade, almeno nel nostro mondo.
è la paura dello sconosciuto che vive nei boschi. L’uomo selvaggio, personaggio mitico di cui si raccontava una volta, fungeva da mediatore tra il mondo selvatico e quello domestico. Oggi non abbiamo più bisogno di mediazioni, sembra che tutte le nostre tecnologie possano permetterci di tenere tutto sotto controllo, anche in montagna. Non è così e il lupo rappresenta tutto quello che non padroneggiamo.
Le altre paure le trovo molto infantili. Chi pensa di poter essere attaccato dal lupo rimarrà deluso, è difficile che succeda. Non è una paura reale, è la paura di qualcosa che non si conosce né si gestisce. Il lupo fa quello che vuole lui e si porta dietro questa brutta fama. In realtà tutti gli animali selvatici fanno quello che vogliono, il lupo è più evidente perché è un carnivoro e quindi è anche più dominante nella gerarchia.
Il lupo ci pone dei limiti che il capriolo, mangiando l’insalata degli orti, non ci pone. Ci mette in crisi come civiltà. è un pezzo dell’equilibrio naturale che contrasta con il nostro modo di vedere il mondo. Noi ci consideriamo superiori a tutto il resto e possiamo annientare tutto il resto. Fin dall’antica cristianità l’uomo si sente superiore, deve dominare la natura. Prima aveva strumenti che gli davano un limite, oggi siamo in grado di spianare il Cervino, prosciugare un lago, spostare un fiume. Con un colpo di fucile, lo si può abbattere, non farlo è come cedere le armi di fronte a un concorrente. L’uomo non ha concorrenti reali.
quindi abbiamo paura della competizione con lui?
No, abbiamo paura di questo animale che fa quello che vuole lui, che non segue regole, non è arginabile, si infila, un essere libero tutto sommato, quello ci fa paura.
Viene in piazza a rovistare nei cassonetti e con la stessa disinvoltura si mette alle calcagna di un capriolo per nutrirsene. è un carnivoro: mangia gli animali, non erba e foglie.
Sulle Alpi non ci sono molti carnivori, c’è l’orso nelle Alpi orientali, il lupo e i cacciatori del cielo: l’aquila, il gufo, il falco che fanno meno impressione perché abitano un altro spazio, mentre il lupo occupa il nostro sui sentieri delle montagne su cui camminiamo anche noi. Come in Africa ci fa paura il leone.
Il carnivoro non è un animale docile, cervo e camoscio non ci fanno paura perché li reputiamo innocui.
Museo delle Alpi al forte di Bard: l’orso da Est e il lupo da Ovest sono il ritorno del carnivoro sulle Alpi, all’orso gli sparano, al lupo vorrebbero sparargli. Il ritorno dei carnivori sulle Alpi crea dei problemi reali, non solo immaginari.
cosa pensi degli abbattimenti (come soluzione, come possibilità)
siamo parte della natura di cui abbiamo snaturato gli equilibri. quando il lupo eccede turba equilibri già snaturati e che occorre controllare. Se questo è possibile con gli altri selvatici, può esserlo anche per il lupo. Non è che abbia più dignità di un erbivoro. Prima però bisogna capire qual è il punto di equilibrio, fare il possibile per evitare l’uccisione a meno che non sia necessaria. Se si uccidono le mucche per mangiarle, è normale che si possano uccidere i lupi. Pensare che il selvatico non si uccide e il domestico sì è una visione distorta. Non si può uccidere il lupo per piacere. Per piacere non andrei ad uccidere nessun animale ma quando va regolamentato, si regolamenta. Come con gli altri animali, si può fare con il lupo. Sicuramente ci sono più problemi.
I francesi ne hanno già abbattuti, gli svizzeri anche. Ci sono zone dove si è investito molto sulla pastorizia, soprattutto ovicaprina, è difficile pensare che in quelle zone si concentri una popolazione di lupi eccessiva.
immaginarsi i pastori con il fucile per difendersi?
No, così sarebbe il farwest. Il lupo è un amico e nemico di tutti, non è che sia solo di qualcuno: come la montagna non è dei montanari e torino non è dei torinesi. Certe cose sono dell’umanità. Dev’essere qualcuno superpartes a decidere e non può essere un singolo a cui gira storto a decidere se mantenerle o abbatterle. Questo vale anche per le cose inanimate. La proprietà è mia fino ad un certo punto: il Cervino non è di quelli di Cervinia e Venezia non è dei Veneziani. L’idea che il lupo sia il nemico di chi ha le pecore è giusta fino a un certo punto, non può essere il pastore a farsi giustizia. Ci vuole qualcuno che abbia una visione più ampia della situazione.
Siamo davvero in grado di dominare illimitatamente la terra? No, abbiamo già superato il limite. Il lupo ci pone questa domanda ed è per questo che ci mette in difficoltà.
è un limite che si può infrangere facilmente, di fronte al riscaldamento globale siamo davvero inermi, il lupo lo possiamo eliminare, basta spargere un esercito sulle montagne con questa missione! è un limite che ci dà una visione più corretta sul nostro essere, se vogliamo far parte di questa natura.
relazione futuro delle Alpi e futuro del lupo?
Da un lato abbiamo portato la città in montagna trasformandola in periferia urbana, poi ci siamo accorti che questo modello in montagna non funziona.
Dall’altro lato le abbiamo intese come il bel mondo passato, quasi un grande museo e di nuovo la visione è molto funzionale alla città. Il cittadino vuole ritrovare in montagna le cose che ha distrutto altrove. Sono due modi totalmente perdenti, non reggono.
La terza via: dobbiamo creare sulle alpi un laboratorio di sviluppo sostenibile perchè è un mondo che ci viene letteralmente addosso se non è curato in modo sostenibile. Ci viene addosso con le alluvioni, con le frane e anche con il lupo, con il selvatico che reclama un suo spazio.
è un bellissimo simbolo.
2016 08 19 Roberta Colombero
Allevatrice di bovini
Alpe Valanghe. Marmora.
In fondo al vallone di Marmora la valle si apre gradualmente fino a un vasto pianoro che va a sbattere contro il versante da cui la strada sale al colle del Mulo. È un posto magnifico e l’acqua della fontana è molto buona.
La famiglia Colombero è legata all’alpe Valanghe. Eravamo passate da qui in velocità in un giorno che sembrava notte, tanto erano scure le nuvole. Roberta ha sentito i cavalli e si è avvicinata con discrezione per informarsi. I suoi cavalli le facevano da corona e suo padre e sua madre l’hanno seguita con domande che facevano emergere consuetudine. Siamo andate via prendendo la strada delle nuvole e voltandoci indietro abbiamo guardato la casa con tutti i rudun appesi al trave. Questa volta mi sono fermata, dovevo conoscere la ragazza dei cavalli.
– L’altro giorno una turista ha trovato un lupo morto da qualche tempo e Roberta ha avvisato la forestale. Non è andata a vedere. È morto un lupo.
– Ci sono, l’anno scorso mio padre ha trovato una carcassa dietro la casa quando siamo venuti a portare via le ultime cose dopo aver fatto scendere gli animali. Era pulita, avevano mangiato tutto. Adesso che siamo qui sono attenti ma è casa loro, conoscono ogni pietra.
– Un giorno, a inizio stagione, stavo rientrando a casa con Margherita, c’era un bel sole e due lupi vicino alla porta. Ci hanno guardate dritto negli occhi, poi sono spariti.
Sfoglia l’agenda fino a trovare la pagina giusta: 9 luglio, ore nove, incontro con il lupo.
Sono arrivata alle otto e un quarto e lei stava finendo di mungere insieme ai suoi nel prato a sinistra della strada per il colle. Mungono a mano e l’operazione richiede tempo e manodopera. Questa volta erano in quattro e li ho aspettati con Margherita che ha svolto qui lo stage per l’istituto agrario a inizio stagione e quando lo ha finito ha chiesto di restare.
Roberta è scesa a piedi. Mi ha raccontato di questo posto. Rispetto ad altri alpeggi in cui regna la solitudine, qui ci sono tante persone. È la forza di una famiglia unita di cui fanno parte anche gli animali che alleva e le montagne che li nutrono. L’estate è qui, l’inverno in stalla. Mungere, portare al pascolo, fare il formaggio, venderlo.
E poi? E poi ci sono i cavalli! È la curiosità di andare via e conoscere altre realtà.
Ripartivo verso un cielo blu. L’alpeggio diventava sempre più lontano. Nelle bisacce c’erano una robiola e un pezzo di nostrale dell’Alpe Valanghe. Sul versante di fronte vedevo un puntino che portava in alto le manze e loro che si snodavano lungo il sentiero quasi come se fossero un unico essere che risaliva la montagna.
2016 08 17 Cecco Dematteis e Anna, sua moglie.
Maestro del legno e della pietra.
Rore
Cecco è venuto in Val Varaita con l’idea di vivere dignitosamente la montagna assorbendo la tradizione e adeguando le sue abitudini al tempo che corre attraverso la tecnologia.
Alpinia è un libro avventuroso senza essere un libro di avventura. Parla del popolo delle Alpi, dalle Marittime alle Giulie, e insiste sulle caratteristiche comuni sui due versanti di tutte le genti che ci hanno sempre vissuto. L’epoca descritta è quella in cui il progresso causa spopolamento e degrado di aree distanti. Le moderne tecniche permettono di razionalizzare le risorse, in modo da migliorare l’esistenza di chi resta e quella degli animali che gli danno da vivere.
L’autore è Luigi Dematteis che, per indagare sui temi esposti nel libro, le ha percorse a piedi e con gli ski e successivamente con un furgone che era la sua base logistica per avvicinarsi il più possibile si posti più lontani in autonomia, cercare e investigare con testi e fotografie le persone di cui il libro parla.
Era il padre di Cecco e dei suoi fratelli.
Il lupo? È un predatore e la convivenza con l’allevamento di animali domestici più o meno in libertà è difficile: colpisce in momenti inaspettati, ha un territorio enorme, il centro è dove nasce la cucciolata ma percorre tranquillamente cinquanta chilometri in una notte. Non saprai mai dove e quando può arrivare.
– Ero in alpeggio sotto il passo di Luca. A inizio stagione ci vuole sempre un po’ di cura per rimettere in ordine la casa dopo tutto l’inverno. Ho sentito agitazione e mi sono sporta a vedere, i cavalli erano spaventati e c’erano due lupi che avevano già scartato il puledro dal resto del branco. Ho urlato e sono scomparsi. Il puledro ha passato l’estate, la madre no. È scomparsa e non l’ho mai più ritrovata, nè lei nè la campana che aveva al collo. Era una brava cavalla e aveva una bella campana.
In questa valle è stato cacciato finchè non si è estinto da metà dell’Ottocento ma è tornato da una decina d’anni. La prima volta che l’ho visto ero in auto e lui camminava lungo la strada asfaltata. Ha scartato, ha fissato i fari che lo hanno abbagliato ed è scomparso.
Non c’è paura del lupo ma se ne parla. Il suo ritorno non è stato accettato da tutti, tra Brossasco e Venasca ne è stato appeso uno a un cartello stradale. Non c’è paura del lupo ma se ne parla. A Bellino qualcuno si è opposto, si sono fatti sentire e hanno ottenuto indennizzi, reti e cani. Nonostante la scarsa accoglienza si sta comunque espandendo. Stanno qui davanti sul versante a mezzanotte tra qui, San Damiano e Roccabruna. Altri partono da Casteldelfino, attraversano il bosco dell’Alevè e in un attimo sono al passo di Luca.
L’inverno scorso si è fatto vedere in paese.
A Bellino rimane solo più un gregge di meno di trecento animali, a Ponte Chianale non ce ne sono più. Prima potevano stare da sole, quando è tornata necessaria la sorveglianza uno per volta hanno lasciato perdere. Al lago di Luca negli anni ’80 c’erano quasi settecento pecore nel pascolo dove adesso teniamo i cavalli. L’allevamento ovino era già in calo: non rende molto, la lana non vale niente e la vita che si fa per guardare le pecore è dura. I pascoli abbandonati sono sempre di più, i primi a rimanere in balia delle piante pioniere sono quei territori marginali dove solo i piccoli erbivori potevano arrivare ma gradualmente la foresta si sta impadronendo di interi versanti dove i pochi prati resistono come isole dove c’è qualcuno che tiene pulito. Ontani, rododendri e ginepri preparano l’insediamento del bosco chiudendo con spine e radici il passaggio. Quegli angoli ormai impenetrabili sono abitati da chi riesce a trovare una pista per infilarcisi. Nessuno può sapere con certezza cosa si muove in quelle macchie.
Chi ha lasciato le pecore ha cambiato lavoro o ha dato la precedenza al lavoro invernale, molti hanno abbandonato e basta. Non c’è stato un ricambio generazionale, molti pastori erano persone sole legate alla loro vita che essendo così dura non gli ha consentito di formare famiglie. Finiti loro è finito tutto. Anticamente c’erano famiglie di pastori ma non qui. La famiglia va avanti, un uomo solo no.
Gli alpeggi che tengono sono quelli dove arriva una strada e gli allevatori salgono dalla pianura, non hanno nessun legame con la gente del posto. La razza principale era la piemontese, tutti mungevano e lavoravano il latte, fino a venticinque mucche venivano tenute vicino all’alpeggio e munte a mano mentre le asciutte venivano portate ai pascoli alti. Oltre che per la produzione erano selezionate per il lavoro. Ora munge solo più chi può farlo a macchina e ha un locale di lavorazione del latte adeguato alle caratteristiche richieste dalla legge. Tutti gli altri allevano animali da carne e la razza principale non è più la piemontese.
Il lupo fa parte dei cambiamenti in atto ma i pastori lo vedono diversamente dagli altri: se non fosse stato protetto gli avrebbero tirato, adesso colpire un lupo è un delitto e si finisce nel penale. La pastorizia e la cultura che c’era dietro non sono ancora estinte ma quasi.
Siamo stai insieme qualche ora, poi era ora di partire e mentre sellavo sentivo Cecco comprendere ogni mio gesto. Tanti anni fa lui era partito dall’Ariege con quattro merens, il cavallo dei paesi di lingua occitana ed era arrivato qui a piedi attraversando il sud la Francia. Non abbiamo parlato del suo viaggio, so che c’è stato e che mentre partivo anche lui partiva perché sapeva cosa significa.
Ho sellato, ormai faceva caldo ma il sentiero risaliva il versante a mezzanotte, quello dei lupi. La mulattiera era larga e faceva trasparire secoli di cure, pietre ben messe, canali e curve disegnate per salire comodamente. La vegetazione ai lati se ne sta impadronendo deviando l’acqua. Il terreno non era pestato. Poche persone passano da lì.
2016 08 16 Mauro Bongiovanni
Alpe Tartarea
Allevatore di bovini
Le nuvole si stanno attaccando alle montagne, l’aria è bollente, umida ed elettrica. Anni fa ero scesa dalla strada che sto risalendo e mi ero fermata a comprare della toma all’alpe Tartarea: uno di quei pezzi di formaggio che a distanza di anni te li ricordi ancora. Mi sono fermata per cercarlo di nuovo ma non ne hanno più. All’epoca in questo alpeggio erano due soci che tenevano gli animali insieme, uno con animali da carne e l’altro da latte, era l’altro a mungere e fare il formaggio. Adesso ha preso un alpeggio per conto suo, munge al pascolo e porta il latte a valle per lavorarlo in caseificio. Non era possibile allestire un locale di trasformazione del latte in alto e per continuare a fare il formaggio ha dovuto adeguarsi al sistema di lasciare la mandria incustodita la notte e di salire in auto due volte al giorno per prendere il latte.
Mi sono fermata lo stesso perché il socio che è rimasto qui è Mauro e questo posto c’è l’ha talmente attaccato alla pelle che non riusciamo a staccarcene neanche noi. Isotta bruca tranquilla, io mi cucino un riso e chiacchiero con lui di fianco alla tettoia dove passano la notte le mucche con il vitello.
La prima volta che li ho sentiti ululare era il 2011: quel suono taglia la nebbia a coltellate, lo vedi quasi riempire ogni anfratto. Gli animali sanno che cos’è, senza che nessuno glielo debba spiegare.
L’anno scorso ne ho visti quattro risalire il vallone, arrivavano da Meire Bigorie e risalivano a passo deciso al colle del Cervetto. Erano due adulti e due giovani, camminavano spediti come se la montagna fosse in piano e non hanno mai voltato nè abbassato la testa. La mandria era fuori rotta rispetto alla loro destinazione ma se se la fossero trovata davanti temo che non sarei riuscito a difenderla da quattro lupi.
Non ho mai subito dei veri attacchi, capita che lui faccia dei tentativi ma le mucche si difendono, si riuniscono compatte e lo fronteggiano. Fa paura comunque. La questione non è quel capo che è in grado di abbattere, è l’idea che in una notte di nebbia può esser capace di spingerne dieci o dodici in un burrone e allora non c’è niente da fare, la mandria non può rimanere la stessa.
Quest’anno ci ha provato due volte. La prima volta le ha solo spaventate, io ero qui è in un baleno ho visto la mandria che cominciava a girare a velocità sostenuta sul pendio di fronte spostandosi in modo strano. Tempo di arrivare lì vicino e lui era già sparito. Le aveva solo spaventate. L’altra volta era riuscito ad isolare una manzetta, quella in particolare non è uno degli animali più furbi e probabilmente lui l’ha scelta per quello, la stava spingendo verso le rocce sotto il pascolo e tutte le altre erano agitate e hanno fatto rumore finché Vasile, l’operaio rumeno che mi dà una mano, è corso sul posto e lo,ha spaventato. Anche lì è sparito, ma per quanto? Dargli fastidio è un modo per fargli passare la voglia di tornare, ma la volta che riuscirà ad eludere la nostra sorveglianza?
Quello che li attira di più è l’odore del sangue e quando una mucca partorisce, vitello e placenta sono un bel richiamo. Quando sono a termine, le porto vicine alla casa e di notte in questo paddock, preferisco dare del mangime e tenerle sotto controllo che rischiare che si isolino per partorire cacciandosi nei guai lontane dalle altre. Una mucca con il vitello appena nato rischia troppo e non sono animali selvatici, sono capaci di vivere in semilibertà ma non di sopravvivere alla natura, hanno bisogno di essere accudite.
Per ottenere i risarcimenti in caso di attacco da lupo sono state messe tante di quelle clausole che è proprio meglio che non arrivi. Pretendono che gli animali siano chiusi in un recinto di rete elettrificata alto un metro e venti: un recinto del genere non puoi spostarlo tanto spesso, le reti sono pesanti e quelle alte lo sono ancora di più. Portarle ogni sera al recinto man mano che mangiano l’erba più vicina diventa una difficoltà: si rovinano sia gli zoccoli che non sono fatti per camminare così tanto che la montagna che, passando così tante volte con centocinquanta animali, comincia a franare nei punti critici. Quello che posso fare senza fare danni è tenere vicine a casa le madri con i vitelli. Gli altri animali devo lasciarli liberi di difendersi a vicenda. È un rischio, ma se certi sentieri cominciano a crollare, certi pascoli non posso più farglieli raggiungere. Qui siamo da soli.
Esistono delle assicurazioni e quella è una delle attività che beneficiano di più del ritorno del lupo: non sai se e quando arriverà, ma potrebbe succedere e arrecare grossi danni, se arriverà e le difese in atto non saranno all’altezza di tutte le clausole del contratto, potrai aver pagato l’impossibile ma non verrai risarcito. Se i danni supereranno una certa cifra, in ogni caso verrai risarcito solo fino a quella cifra. Non è un bel pensiero. Il rischio rimane lo stesso.
– vuoi del latte nel caffè?
– Grazie
Tira fuori una bottiglia di latte che non arriva sicuramente da un cartoccio
– ma quel latte da dove arriva?
– L’ho munto stamattina. Non posso fare colazione senza latte!
– Buonissimo!
Sellando prendo il materiale che avevo appoggiato dietro la casa e mi cade l’occhio su una tavoletta di larice liscia come l’avorio al cui centro è incastrato un bastone lungo una trentina di centimetri. Lo sgabello per mungere.
2016 08 16 Meire Bigorie
Nino: Riccardi Giovanni
Guardiacaccia comprensorio alpino CN 1 Valle Po
Valle Po, stavo per imboccare la strada per l’alpe Tartarea. Il vallone del Cervetto a valle di Meire Bigorie è una boscaglia impenetrabile dovuta alla ricrescita di arbusti su pascoli scomodi. Quella boscaglia sta cercando di risalire i versanti invadendo anche i pascoli alti che per il momento sono ancora pascolati, anche grazie alla strada agro silvopastorale che porta fino all’alpeggio.
Mi dispiaceva di lasciare la valle Po senza incontrare nessuno perché, dai dati di Life Wolfalps non risultavano presenze di lupo in questa valle, che sembra un luogo ideale per il suo insediamento.
È arrivato un fuoristrada del comprensorio di caccia della valle Po ed è sceso un ragazzo con l’aria di uno che cammina e che ha appena adempiuto a un compito. Era Nino che rientrava dal censimento dei galli forcelli. Gli ho chiesto di fermarsi un momento a parlare con me e lui ha salutato i suoi soci con cui stava andando a mangiare e mi ha raccontato queste cose.
È arrivato sette o otto anni fa, solo di passaggio. C’erano predazioni ma si è sempre ritenuto che fossero cani reinselvatichiti, finchè sono stati visti l’anno scorso: ce n’erano cinque proprio qui sotto: la coppia e i cuccioli.
Stiamo collaborando con le università di Pavia e Genova per valutare l’impatto sui selvatici in seguito al ritorno del lupo. Con loro si può lavorare seriamente. Ho due fototrappole che posiziono sui sentieri per confermare i dati e hanno funzionato bene entrambe finchè una non si è rotta, adesso è in riparazione. Il numero di caprioli si è ridotto drasticamente, anche qui è stato reintrodotto il cervo, quindi il ritorno del lupo non è l’unica componente che ha portato a questo risultato.
Il lupo è un problema come un altro, la gestione del lupo sembra un problema più grosso degli altri. Gli abbattimenti sembrano fuori discussione, i rimborsi ai pastori ci sono ma non sempre e comunque risultano scarsi rispetto al valore delle perdite. Dove si vuole arrivare? Sembra una questione di affari: dietro il lato emotivo delle perdite da un lato e dell’ammirazione di un animale misterioso, ci sono molti soldi.
– sai quanti siamo a tenere sotto controllo quest’area di caccia?
– No
-Io. Sai quanto è grande?
– No
– Sono 34000 ettari di territorio, chilometri su chilometri di strade, piste e sentieri e pare che di soldi non ce ne siano.
Non mi sono capitati casi di bracconaggio in questa parte della valle, l’unico che mi è successo di accertare è stato a ottobre 2012 ma molto distante da qui. Era un lupo maschio, ucciso con una fucilata a Rucas, in pancia aveva 6kg di capriolo fresco poco masticato.
La presenza del lupo non è documentata ma chi vive qui lo ha visto e ha anche visto i cuccioli. Non so bene cosa questo comporti.
Ferragosto si avvicina, l’estate è splendida e alla fontana del Barbara c’è la coda di gente che deve riempire la borraccia, la bottiglia di plastica, la tanica. Gente ovunque e il rifugio in mezzo. Un equipe di ragazzi gentili e pronti tiene a bada l’assalto. Cinzia, lasciando disposizioni a destra e sinistra, è riuscita a mettere persino insieme un momento per parlare con me in un angolo dove c’era silenzio.
2016 08 14 Cinzia Fornero
Guardiaparco Alpi Cozie che gestisce da anni il rifugio Barbara.
Qualche tempo fa l’alpeggio della Rossa ha subito una predazione. Paoletto lo conosco bene, è da anni che rifornisce di toma la cucina del rifugio e siamo amici. È un puro, ci metterei la mano sul fuoco. Gli accertamenti della forestale hanno sentenziato che il capo in questione era stato ucciso a coltellate e non verrà risarcito. Credo che Paoletto sia in buona fede e capisco che dopo un’esperienza del genere non si senta per niente al sicuro.
Avendo i cani da guardiania, è obbligato a mettere i cartelli di avviso per i turisti, li ha richiesti al comune a inizio stagione e non sono mai arrivati. Nel frattempo sono riuscita a procurargliene ma non è la stessa cosa.
Probabilmente se gli allevatori sentissero più vicine le istituzioni, protesterebbero meno. C’è qualcosa di malsano in tutta la gestione di queste aree, ma non è il lupo.
Il lupo è il lupo, una favola con il lupo come cattivo è più facile che venga ascoltata.
L’incontro della Coldiretti dell’altra settimana non sono riuscita a seguirlo, ci ha portato molto lavoro. Quello che ho percepito è che ci fossero delle proposte di gestione e raccolta fondi per migliorare le difese e ridurre problemi di altro ordine che sono le vere difficoltà di chi vive di allevamento.
Il lupo è arrivato in Val Pellice diverse volte ma solo di passaggio. Predazioni ce ne sono, da una decina d’anni succede che si facciano vedere e che attacchino. Quello che trovo strano è che in Val Chisone, dove lavoro, il lupo si è insediato da quasi vent’anni e non c’è mai stato un gran rumore, qui sono bastate poche predazioni per sconvolgere tutti i bar della valle e mettere in moto associazioni di allevatori e giornali. Si parla di paura, di lupi che mangiano i bambini e di stragi, sono tutti argomenti che stuzzicano la fantasia.
È innegabile che il ritorno del lupo sia una grana in più. È una grana come le altre. Di vite senza grane non ce ne sono, se piove a ferragosto con chi se la prende un rifugista?
fuoco acceso telo tirato cavallo sazio per unire nella stessa avventura uomini cavalli e montagne