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Partire

Cuoio e ferri la strada, pietra e legno la casa: stare e andare come modi di abitare. Questo equipaggiamento ogni sera diventa dimora. Ogni mattina diventa vestito.

Cara Laurence, finalmente sono tornata dai cavalli, in questi tre mesi gli sono cresciute le criniere. Spezzare il viaggio è stato come una lunga apnea piena di incognite. Quando li ho lasciati erano cadute tutte le foglie e il mondo era vestito di oro, adesso i tronchi delle betulle si mimetizzano nella neve e sembra di camminare sui diamanti. E’ ora di ingrassare selle, bisacce e testiere. Adesso sono qui e a giorni riuscirò davvero a tornare in sella. Non vedo l’ora di raggiungere i villaggi dei cosacchi. So che sono tuoi amici. Se li senti, avvisali del mio arrivo.
Spero di tornare qui con te un giorno.
paola

ps: di strada sono passata da Amina, mi ha accompagnata lei alla stazione di San Pietroburgo. É stato proprio un nell’incontro.

Amina Liubitskaja ha attraversato con Laurence Bougault l’altopiano di Altai. Montagne selvagge e antiche, governate da príncipi cavalieri.

 

Forgiatura a tiepido VIDEO

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Forgiatura a tiepido VIDEO

Non si può fare tanta strada senza ferri! I mongoli stessi erano sempre molto preoccupati dello stato dei piedi dei miei cavalli. Mi chiedevano sempre. E guardavano ammirati i ferri che Andrea aveva fatto per me. I cavalli mongoli hanno piedi molto robusti, ma non lavorano tutti i giorni. I pastori li alternano nel lavoro. Questi cavalli hanno fatto più di tremila chilometri di fila e adesso ne hanno ancora davanti seimila. Credo che i loro piedi abbiano bisogno di essere ferrati.

Perché ferro i miei cavalli

Questo articolo lo avevo scritto con il maresciallo Blasio tanti anni fa. Avevo bisogno di schiarirmi le idee. Era la persona che poteva farlo meglio. Mi è sembrato il caso di rispolverarlo.

Конь/Cavallo

Esco di notte a cavallo per il campo,
notte buia, andiamo piano.
Il cavallo ed io andremo insieme al campo (x3)

La grazia della notte copre il campo di stelle,
Nessuno sarà visto nel campo ,
Solo noi lo solcheremo in sella: cavallo e cavaliere.
Noi cavalcheremo al campo
Ti porterai attraverso il campo per me
Nel mio campo infinito (x2)

Fammi vedere una volta,
dove il campo crea l’alba.
Alla luce del mirtillo rosso, scarlatto nell’alba,
Il luogo dove il sole si alza da terra lo vedono tutti, ma nessuno ci può andare(X2)

Polyushko mio, sorgenti.
Luci dei villaggi lontani.
Segale dorata, sì lino riccio,
sono innamorato di te Russia, innamorata. (X2)

Sarà un buon anno, è una scelta
andrà comunque, tutto passerà.
Canta la segale dorata, canta il lino riccio,
Canta di come sono innamorato della Russia.
Canta la segale dorata, canta il lino riccio,
andiamo con il cavallo insieme!

Il senso corale di queste solitudini viene raccontato da questa canzone che si fa canticchiare un po’ da tutti: chi con il cavallo ci vive, chi ci ha vissuto, chi aveva parenti che allevavano cavalli e chi non ne ha mai avuti e li ha sempre sognati. Questo  è Nikolaji, quella mattina eravamo appena tornati dal pascolo dei cavalli, li avevamo riuniti ed eravamo rientrati al trotto girando al trotto tra i covoni di fieno. Lui vive ogni giorno ogni parola di questa canzone. Padre Francesco me l’aveva appena insegnata e la canticchiavo tra me e me. Lui si è agganciato a una nota e si è messo a cantare per davvero. Lo stesso sole sorge da una parte all’altra della Russia nel giro di tre o quattro ore di alba.

Выйду ночью в поле с конём,
Ночкой тёмной тихо пойдём.
Мы пойдём с конём,
По полю вдвоём,
Мы пойдём с конём по полю вдвоём(х3)

Ночью в поле звёзд благодать,
В поле никого не видать,
Только мы с конём,
По полю идём(х2)

Сяду я верхом на коня,
Ты неси по полю меня.
По бескрайнему,полю моему(х2)

Дай ка я разок посмотрю,
Где рождает поле зарю.
Ай брусничный свет,алый да рассвет,
Али есть то место,али его нет.(х2)

Полюшко моё,родники.
Дальних деревень огоньки.
Золотая рожь,да кудрявый лён,
Я влюблён в тебя Россия,влюблён.(х2)

Будет добрым год,выбор он
Было всяко,всяко пройдёт.
Пой златая рожь,пой кудрявый лён,
Пой о том как я в Россию влюблён.
Пой златая рожь,пой кудрявый лён,
Мы идём с конём вдвоём!

Il pastore di stambecchi

‘Il pastore di stambecchi’ Louis Oreiller con Irene Borgna. Ed. Ponte alle Grazie

Un caffè bollente con molto zucchero per cominciare la giornata, accogliere gli amici e scavare nella memoria. Una panchina di fianco alla porta di casa di un uomo che ha vissuto la montagna di Rhemes da contrabbandiere a bracconiere, da guardaparco e da guardacaccia. Le visite di Irene che partiva ogni volta che riusciva ad ammucchiare qualche giorno per andare a trovare Louis.
La tenerezza di questi incontri traspare da ogni frase di questo libro: frasi semplici di una persona di altri tempi che vive in questo tempo. Il compito di Irene é stato sceglierle, renderle come Louis le ha espresse e offrirle una dopo l’altra per svelare un’idea di cosa sono il silenzio e le solitudini della montagna, anche a chi non la conosce. Paura, rispetto, attenzione, curiosità sono elementi di una vita che non ha mai sfidato niente e nessuno perché il pericolo lo aveva già incontrato e non aveva avuto motivo di affezionarcisi.
Questo libro sta tutto nelle suole degli scarponi che hanno camminato fuori traccia portando Louis a ficcare il naso in ogni anfratto e promontorio della sua valle.
Non è una biografia, é il documentario di un’umanità in via di estinzione dove le creature di ogni specie che popolano quell’angolo di mondo diventano una dopo l’altra eroi, maestri e compagni di avventura.

Solstizio d’inverno

Era appena iniziato l’autunno quando ho conosciuto Maria. Lei è la moglie del pastore ortodosso di un piccolo villaggio a sud di Mosca. Lei è iconista: il suo mestiere è quello di rappresentare il divino. L’ho vista all’opera nell’abside della chiesa del monastero di Karabennikovo in Altaski Krai. La dolcezza di quel momento non mi ha più abbandonata. Stava dipingendo le pieghe dell’abito di un angelo in una lunetta. Ancora senza volto l’angelo la circondava con le sue ali. Fuori faceva freddo e lì faceva caldo, fuori le foglie cadevano e lì, in un barattolo di colore bianco, sembrava nascere luce.
Ogni giorno un passo di pulce verso la luce, a Bardonecchia, sul confine tra Francia e Italia, questo era l’augurio che ci si porgeva a santa Lucia. La luce del giorno che sa passare al di sotto del più fitto strato di nubi senza che nessuno se ne accorga, è un dono così bello, non riesco a trattenere la gioia! Fino ad oggi il pelo dei cavalli è cresciuto per foderarli della giusta pelliccia e permettergli di vivere all’aperto. Ho ammirato questa trasformazione ogni giorno da settembre in poi, a inizio novembre Tgegherè aveva la schiena coperta di riccioli. Adesso che i monaci si occupano di lui e Custode pregando per tutti e anche un po’ per me, non riesco a immaginare come possa essere diventato.

Tgegherè, inverno 2017

Gli inverni in Mongolia sono terribili: certe volte il termometro scende a meno quaranta con un vento del nord di cento chilometri all’ora. Lui ha vissuto otto inverni mongoli all’aperto, senza un riparo. Adesso è con Custode poco distante dal Volga e ha un riparo e del fieno, ma credo che entrambi abbiano nostalgia della loro libertà. Chissà se i riccioli hanno continuato a crescere. Lo scoprirò a fine gennaio, quando finalmente potrò tornare in Russia. Da oggi uno per volta, tutti i peli del sottopelo invernale cadranno, finché i loro mantelli torneranno lucidi al sole e non vedo l’ora di regalare a entrambi una bella galoppata nella neve. Il solstizio è lo stesso momento per tutti: quei due cavalli, ogni persona di questo mondo, i semi nella terra e le gemme sugli alberi tirano un sospiro di sollievo. Più buio di così non può diventare. La luna di questo solstizio già rischiara la notte.

la luna gigante dell’anno scorso era ancora lontana dal solstizio.

Per sempre

mappa dei viaggi di Przewalski in Asia

Quando il destino propone un dono, domanda un prezzo, entrambi talmente imprevedibili da essere irriconoscibili.
Non so se quando Nikolaji Michailovich Przewalski si trovò stritolato dal tifo, nel bel mezzo del suo quinto viaggio in Asia, si disperò. Sicuramente soffrí. Quando capí che non sarebbe mai rientrato a casa si trovava a Karakol, in Kirghizistan, chiese allo zar di essere seppellito sulle rive dell’ Issik Kul e così fu.
Rimane un mausoleo, é stato pensato anche un museo, la città di Karakol dopo la rivoluzione venne chiamata Przewalsk in suo nome.
L’impronta dell’ultimo bivacco di questo grande esploratore era una semplice fossa con una croce ortodossa di legno. Il luogo é un promontorio che arretra la punta più occidentale del lago Issik Kol: da lí si guarda sul lago e si sente il ‘persempre’, si guarda alla corona di montagne innevate che lo circondano e si sente il senso dell’ avventura.

Cosa si vede dal promontorio dove Przewalski ha chiesto di essere seppellito

Cosa significa ‘casa’ per un esploratore? Può essere stato un dono rimanere lí per sempre? O é un dono per tutti gli avventurieri a venire, sognare la fine in un posto come quello, nel bel mezzo di una grande impresa?
Sono andata a porgergli omaggio e spero che la bellezza di quell’angolo di mondo mi resti sotto la pelle. Vorrei averlo conosciuto quando era un uomo.

è da tanti anni che penso al viaggio che sto vivendo adesso. la prima volta che ero stata in Mongolia era solo un abbozzo di idea, era il 2007 ed ero andata laggiù per vedere i cavalli di Przewalski.

> Ballata dell cavallo di Przewalski

Fiera dell’est

Un futuro da fantascienza si sta appropriando delle città della steppa. Grattacieli, monumenti improbabili, giardini e parchi con fontane ed essenze esotiche accompagnano lo straniero verso centri luccicanti di vetri e marmi.
Fuori c’è la steppa. Dentro c’è lavoro. Anche qui si corre dentro per lavorare, si scappa fuori per riposare.
Sul confine c’è ancora il mondo dell’allevamento: vissuto fieramente da chi é rimasto in sella, guardato con compatimento da chi ha conquistato l’eleganza e il profumo all’ultimo grido.
Sopravvive sul confine, ma esiste.
Sono arrivata al mercato del bestiame in autostop alle sei di una domenica mattina: strade deserte, ma la terza macchina che è passata si è fermata e mi ha caricata.
Un gruppo di cavalli tirati al trotto dall’unico cavaliere confermava che non stavamo viaggiando verso il nulla ma verso una meta condivisa da altri.
Parcheggio gremito di automobili, pecore e persone con la pila che mettono in mostra agli acquirenti le grazie dei propri animali.
Si vedono le strisce di luce delle pile, si sentono belati, muggiti e nitriti, arriva alle narici l’odore dei fuochi, dove le donne friggono a più non posso e versano tè bollente in tazze di ceramica.
Gli uomini mercanteggiano animali vivi. Nascosta dal buio, posso permettermi il lusso di guardare senza che nessuno si accorga di me.
Certi vengono ammazzati sul posto, caricati e portati via prima che sia giorno. Rimane il sangue sul terreno. Ogni spazio é gremito di gente, cavalli, vitelli, capre e ci sono persino dei tacchini. Tutti girano al largo dalle chiazze rosse.

Un uomo vende capezze di tutte le misure. Non smette di incassare neanche per un attimo. Chi compra un cavallo, compra anche la capezza, prende una corda e se lo porta via.
Quando diventa giorno, divento riconoscibile e vado a nascondermi dietro una tazza di tè. Queste donne occupano la posizione giusta e mi metto al sicuro al loro fianco per trovare una chiave che mi permetta di tornare dai cavalli anche di giorno.
Sono tanti, tantissimi. Molti di loro sono belli da ammirare. Tutti hanno la steppa nel sangue, le gambe asciutte e il vento nella criniera. I duri viaggi in camion di quelli che arrivano da lontano hanno lasciato segni impossibili da nascondere. Non sono abituati a stare in piccoli spazi.
Forse la chiave é Nurlan: ha la mia età, la barba a punta, musulmano, tre mogli, molti cavalli. Mi si presenta con le foto che ha sul telefono: tutto un rodeo, una sfida. Andarsene in giro per la fiera con una donna che non é sua moglie e non capisce una parola di kazako é una sfida che lo diverte e a lui piace giocare.
Cavalli e persone continuano ad arrivare fino alle dieci. All’odore dei fuochi si mischia quello della fiera. Lo stesso posto cambia tantissimo alla luce del giorno. Un giorno crudo per molti degli occhi che ho guardato.
Sto male a vedere portare via questi animali. Lo so benissimo che se non ci fosse il macello non ci sarebbe l’allevamento. Lo so, ma mi fa male lo stesso. Ho mangiato carne di cavallo molte volte in questo viaggio. Mi é stata offerta in occasioni di festa, é la carne prelibata per le grandi occasioni. Era atto di amore. É stato un privilegio poter scegliere il primo boccone dal vassoio. Ringrazio tutti i cavalli che sono stati e saranno mangiati in futuro di aver offerto la loro bellezza e la loro forza a chi aveva qualcosa di bello da festeggiare e spero che gli zoccoli del branco da cui venivano continuino a risuonare sulla steppa.
I monumenti non fremono nella gioia del galoppo e non si mangiano, non sporcano e non ti guardano negli occhi. La vita che scorre in tutto quel sangue é libera e selvaggia fino all’ultimo giorno.

Addio Siberia

Sono sul treno che mi porterà in Kazakhstan, gli ultimi giorni in Russia sono stati come un film. Non ho potuto fare altro che giocare la mia parte e fare in modo che i cavalli fossero affidati alle cure di cui avranno bisogno nei prossimi tre mesi. Ho affidato i cavalli a persone che possono occuparsi davvero di loro. Non è gente di cavalli. É gente che non avrebbe mai pensato di prendersi cura di due cavalli mongoli. Sono arrivata a questo monastero grazie a una catena di incontri che era cominciata a Gorno Altajisk tre mesi fa.

Norlan, il celebre autista kazako che solca la Russia alla velocità di un dito sulla mappa dell’Eurasia e padre Feofan che varca la stessa soglia della stessa Chiesa nello stesso monastero, molte volte nello stesso giorno. Ogni volta all’unisono con molti uomini come lui che ripetono le stesse parole da centinaia di anni. Il loro viaggio nella parola sostiene cose reali ancora più distanti di Rostov e Vladivostok.

Parto con molte domande. Quando ero andata a Santiago credevo di essere partita per un pellegrinaggio e ho imparato a viaggiare. Quando sono partita per questa avventura, credevo di essere partita per un viaggio che sta diventando un pellegrinaggio.
Inutile addentrarsi in questo labirinto. Annoto solo gli anelli della catena.
Stazione degli autobus di Gorno Altajisk: incontro con Pit, lui e la sua famiglia diventano una bella amicizia.
L’ultima volta che ci siamo visti eravamo ad Aia, ospiti di Ivan che é il parroco ortodosso di quel villaggio.

Dalla Repubblica di Altai a Saratov, molte cose sono successe grazie all’incontro con Pit e Marina, ogni volta che un anello si aggiunge alla preziosa catena che mi lega a loro, mi chiedo cosa sarebbe stato questo viaggio se quel giorno fossi arrivata a Gorno Altai un minuto dopo.

Lui mi ha indirizzato a Karabennikovo, monastero ortodosso sulla mia rotta. Mi ci sono fermata un giorno, il monastero é stato vicino al viaggio anche quando ormai ero lontana.
Ci sono state molte persone che prima di partire mi hanno detto di avere ganci dove volevo far passare l’inverno ai cavalli per evitare la grana della frontiera Russia- Kazakhstan e Kazakhstan- Russia. Nessuna di quelle parole è diventata realtà. Quando sono arrivata all’ippodromo della città, ho dovuto ricaricare i cavalli sul camion e ripartire per ‘Nonsodove’. Mentre l’autista mi guardava con aria interrogativa e io non sapevo dove sbattere la testa, Vadim ha telefonato diverse volte da Karabennikovo e mi ha proposto di trovare una soluzione con l’aiuto dei monaci di un monastero non lontano da dove mi trovavo. Un luogo fuori dal tempo e forse anche fuori dallo spazio ha accolto i cavalli a braccia aperte. Padre Feofan ci aspettava, avvisato da Vadim, padre Ioann è venuto con me all’ufficio dell’ispettore veterinario per registrare ufficialmente che sta ospitando due cavalli mongoli in transito verso l’Europa. Mentre sarò lontana ci saranno tutti i controlli che renderanno possibile continuare il viaggio. Loro adesso hanno un tetto e io sto tornando verso casa.

La freccia è lì, pronta a riprendere il viaggio.
Il Kazakhstan sarà un’avventura vicina ai cavalli ma senza cavalli.

Porte aperte

 

Strade gelate e deserte. Spettacolo candido di tronchi di Betulle e neve. Una porta che si apre e una persona che sorride. Samovar. Vika e Sasha e i loro figli. La stalla, la stufa e fuori il gelo.

Chiedo scusa a chi era preoccupato per il mio silenzio. É da due settimane che attraverso un territorio molto sperduto. Piccoli villaggi a quindici, trenta chilometri uno dall’altro e campi sterminati dove i trattori mietevani a più non posso fino a tre giorni fa. Poi é arrivata la neve è adesso sono tutti in casa.
Nei prossimi giorni i villaggi saranno ancora più piccoli. Non so se miglioreranno le mie possibilità di connettermi. Intanto vado avanti e scrivo.

Краснодарское il villaggio minuscolo é di pianta quadrata. Proprio al centro c’è un grande recinto con mietitrebbie, rimorchi, falciatrici e ogni sorta di macchina per lavorare i campi circostanti. Macchine enormi. Distanze enormi. Come faceva questa gente a mietere questa enormità quando per portare il grano c’erano solo le teleghe tirate dai cavalli?

I villaggi sono un susseguirsi di recinti in cui a volte é difficile distinguere la porta dal resto. Campanelli non ce ne sono. La via passa tra due corridoi di erba dove pascolano oche, galline e capre. Ogni tanto c’è un cavallo legato alla corda. Sembrano tutti bei cavalli.
I villaggi sono il posto delle persone. Fuori dai villaggi la gente ci va solo di giorno e solo per lavorare. Mi sembra che sia un modo per stare al sicuro. Insieme, una casa vicina all’altra, un recinto che delimita lo spazio vitale di ogni famiglia, cani che mettono in guardia da chi potrebbe portare via qualcosa o qualcuno. Il sospetto verso lo straniero è la prima reazione. La conseguenza spesso un fuggi fuggi generale. Mi é successo di avvicinarmi ad una casa salutando una signora e di vederla correre dalle sue oche per spingerle verso il recinto della casa e chiudersi dentro con il lucchetto. Credo che sia un retaggio di passati che io non posso neanche immaginare.
Per fortuna c’è anche Tolstoj! Quel senso del viaggio da ‘Guerra e pace’ si radica in certi cuori. Quelle persone quando mi vedono reagiscono con entusiasmo e gentilezza.
– путешествие! (Viaggio!)
E quella é la parola magica che chiarisce anche agli altri che non c’è nulla da temere.
Tolta la paura é un attimo e scatta l’affetto, il bisogno di accudirmi, di farmi sentire a casa.
Il mattino dopo vado via e sembra già strano che quel legame di una sola notte sia già così saldo.
Queste sono famiglie. Il legame é custodia e cura. Andando via so che qualcuno si sta già preoccupando per me. Io spero di saper ricambiare queste cure.

Sasha apre la porta di casa

Quando la signora Olga cerca di farmi asciugare il bucato con l’asciugacapelli; o Dimitri mi riempie un barattolo di miele profumato; Zacharia mi mostra come funziona la sauna e mi indica lo scopo di tutte le bacinelle e mestoli per lavarmi e fare il bucato; o mentre vado via arriva qualcuno in macchina a chiedermi di scrivere il nome del blog, pezzi di cuore si attaccano alla punta della matita e spero che restino lí per sempre.

E c’è chi, come Nastja e Zacharia, il mattino dopo mi accompagna per un pezzo di strada.

Queste porte che si aprono, compensano tutte le altre che ho trovato chiuse. Sono riuscita a comprendere la paura di questa gente, ma purtroppo ho perso l’occasione per avvicinarla.