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La macchina per ferrare

Questi villaggi somigliano a dei boschetti con tanti sentierini che portano da una radura all’altra. Devo scegliere continuamente da che parte andare. ‘Dritto’ non c’è. C’è ‘dall’altra parte’. Dovevo trovare qualcuno che avesse il coraggio di cambiare i ferri posteriori di Tgegheré.
Quasi per caso ho scelto la via di sinistra, per strada non c’era nessuno. Quasi per caso é uscito un ragazzo da una casa. Si chiama Roman, mani in tasca, anfibi ai piedi, giacca militare come tutti quelli che stanno molto all’aria aperta. Qui sono le migliori.
Camminava al nostro stesso passo, dieci metri dietro di noi. Lo ho aspettato e gli ho chiesto se conosceva qualcuno in paese che potesse rimettermi i ferri di Tgegheré. Mi ha fatto un sacco di domande ma non capivo quando mi chiedeva se questo cavallo si ‘lavorava a mano o a macchina. Solo quando è arrivato Pasha, ho capito che la macchina era il travaglio.

Travaglio

Sì, forse senza maniscalchi nomadi in giro, quella era l’unica soluzione per Tgegheré.
-Devo essere elastica. Devo essere elastica. Devo essere elastica.
La macchina era a tre chilometri da lí andando per i campi. Si sono consultati senza chiedere un parere e hanno deciso che Roman sarebbe arrivato lá in sella con i cavalli e io sarei andata in macchina con lui.

Pasha

Era gente dall’aria affidabile. Gli ho tirato giù le staffe e la mia lunghezza andava bene anche per lui. Gli ho lasciato le redini titubante, ma gliele ho lasciate e sono salita in macchina.
Pasha mi vedeva poco convinta e mi ha dato la sua carta di identità. Gliela ho restituita e ho continuato a stare sulle spine finché non ho rivisto i cavalli in fondo alla strada.
Dissellato senza tante attenzioni e infilato Tgegheré nel travaglio. Lui mi ha seguita con fiducia. Quando si è sentito in trappola mi ha guardata con aria tradita e non gli è ancora passata adesso.
Legato e imbavagliato ha fatto tutta la resistenza possibile, anche se Roman é rimasto vicino a lui accarezzandolo per tutto il tempo. Alla fine Tgegheré aveva tutti i ferri, ma il sistema mongolo si è rivelato molto più gentile.

Roman

Spero che tutte le contorsioni che ha fatto per liberarsi dalle corde non diano conseguenze. Sicuramente per ristabilire un pò di fiducia da parte sua, ci vorrà un bel po’ di strada.
Pasha e Roman non hanno voluto niente, abbiamo preso un té insieme e sono andati via. Io ho rimesso le selle e sono risalita sulle montagne.
Sono grata a Pasha e Roman, hanno fatto tutto quello che potevano, ma ho paura che Tgegheré sia ancora più delicato di quello che pensavo. É diventato triste e schivo e mi si spezza il cuore. La prossima volta: sedativo e nessuna invenzione.

Pastori di api

Arrivo in ritardo, questa terra dev’essere un tripudio di fiori in estate. In ogni villaggio molte case mostrano il cartello di vendita miele e in molti orti ci sono piccoli villaggi di casette di api. I fiori adesso non ci sono quasi più. Gli apiari sono già preparati per l’inverno e alle api é stato somministrato il candito.
Ivan stava chiudendo le ultime casette quando sono arrivata al loro giardino. Tempo di montare il telo, loro avevano finito e una pioggia fine è gelida confermava che non avrebbero potuto tardare oltre.
Siamo entrati in casa, la stufa accesa scaldava l’aria e la zuppa bollente scaldava lo stomaco. Nastja riempiva le scodelle e le distribuiva alla grande famiglia e a noi. Il gesto di porgere la scodella fumante aveva un qualcosa di ristoratore, più ancora della pietanza, portava una specie di benedizione. In quella casa é tutto semplice.
Nastia é la moglie di Ivan ed era molto preoccupata di non parlare inglese. Ma quando non ci ha più pensato, ci siamo capite benissimo. I bambini erano curiosi e gentili e hanno fatto molte domande. La sera é passata veloce e mi sono ritirata sotto il telo con un piccolo barattolo di miele dorato che profumava di fiori. Le api erano al sicuro nelle loro casette e noi anche.

L’altra sponda del Katuhn

Pioveva di nuovo e quando non pioveva, piovigginava. Per evitare la grande strada dovevo passare dall’altra parte del Katuhn. Passate le colline, mirando al ponte, lo guardo senza entusiasmo: un ponte di legno tirato su due pilastri da cavi di acciaio che balla già solo al passaggio dei pedoni.
Fiuuuuuh.
Mi metto il cuore in pace perché quello carrozzabile é quattro chilometri di strada nazionale più a sud. Ormai sono qui e vado avanti.
Dal niente sbuca un omino biondo al gusto di vodka, prende l’imboccatura tra le mani, tira il cavallo indietro e mi vieta di passare. Discutiamo un po’ e alla fine mi arrendo. Devo proprio andare all’altro ponte. Un turista che passava di lì, aveva assistito alla scena e ha parlato per me spiegandogli che non ero in auto e facendo ragionare il testone. Gli ho lasciato 50 rubli, sono partita a piedi guardando dall’altra parte del fiume e non mi sono più voltata finché non ho toccato terra per paura che cambiasse idea. Questa sponda del Katuhn é fatta di piccoli villaggi che vivono di agricoltura e di piccolo turismo di gente che ha la casetta nel bosco ma vice in città. Animali per strada, trattori e stradine. Un’umanità semplice e colta la abita. Un altro mondo.
50 rubli per guadagnare l’altra sponda del Katuhn non sono niente: qui ci sono prati dove i cavalli sono felici e buone strade per avanzare in tranquillità. Finalmente. Che bello!!!!

Autunno

É arrivato un vento con un sibilo nuovo. Piovigginava e ho montato il telo vicino a un larice. Al mattino la punta di ogni filo di erba era arrossita con un bordo giallastro e le cimette dei rami impallidiva già di quel brivido che annuncia il cambio di stagione.
É bastato il tempo di una notte per cambiare tutto, proprio quando sono arrivata in città.

Stanotte ho dormito in un box per cavalli, l’estate della Repubblica di Altai é finita, il sole lancerà ancora qualche tiepido sorriso, ma devo modificare molte cose. Azimuth non può continuare il viaggio e sto cercando un altro cavallo. Tgegheré ha passato la prima notte della sua vita in un box, mangiando fieno e sembra a suo agio. Pioveva e piovigginava e noi eravamo qui all’asciutto. Le alture intorno alla cittadina erano spruzzate di bianco questa mattina.

L’ufficio della direzione della scuola di equitazione di Gorno Altajisk. Qui ogni promessa è un fatto.

Qui ci sono persone giuste disposte a fare il possibile per permettermi di rientrare in carreggiata con tutto l’occorrente per proseguire con questo clima. Il direttore del maneggio e la direttrice della scuola pony hanno ascoltato la mia storia e si stanno prodigando in ogni modo per il viaggio. La Russia é abitata da gente operativa che trasforma le parole in azioni.
So che da qui in avanti dovrò accantonare il lato più selvaggio del viaggio, ma sono anche contenta di andare il più possibile a fondo di quello più umano. Vediamo cosa ci porterà la nuova stagione.

ps: prometto che quello che é successo da quando ho messo piede nella Mongolia occidentale a quando ho passato il Katuhn per entrare in Altaski Krai lo scriverò più avanti adesso ricomincerò da dove sono, con i cavalli che ci sono e da chi sto incontrando. Questa Russia mi sta dando molto. La frattura che separa questa stagione dall’estate in Mongolia assomiglia a un baratro. Non mi sento di colmarlo con impressioni a caldo.

Deserto verde

Solo in cresta, dove i fulmini bruciano la foresta nei temporali di alta quota, il cielo riesce a toccare il suolo.

Quando cade un filo d’erba, si sdraia sotto gli altri e diventa loro nutrimento. Vivi e morti coprono il suolo intrecciati, sostendosi e facendosi ombra a vicenda.
Quando cade un albero nella taiga succede la stessa cosa. Tronchi di ogni età ed in ogni grado di decomposizione, si intrecciano sostenendo il verde di nuovi alberi. Uno shangai gigantesco. Quei fili di erba sono caduti senza fare rumore.
Camminando in un prato si sente il fruscio dell’erba e, sotto sotto, lo scricchiolio di quella caduta. É quasi impercettibile ma c’è ed è fondamentale.

Erba di sopra mischiata ad erba di sotto.

Nella foresta gli alberi caduti con schianto di tempeste e slavine sono attorcigliati nello stesso modo e attraversare un territorio cosí intricato ricorda di essere solo piccoli animaletti che solcano la crosta terrestre. Sotto il dedalo dei tronchi coperti di muschio scorre acqua che si apre la via attraverso rocce e dislivelli, in tutto quel rigogliare di verdi, sembra l’unico essere vivente.
In Altai, il verde tiepido delle praterie solcate dai falchi in cerca di preda é mischiato a quello della taiga abitato da cornacchie e moltitudini di moscerini. Ho fatto scorta di questo verde rigoglioso e umido e dei suoi schianti e fruscii. Spero di poterne fare a meno da ora in avanti e di tornare a seguire il volo dei falchi, vedono più lontano e nelle loro remiganti splende un sole che nella taiga non arriverà mai.

Mischiati

Mascalcia di altre longitudini

E così quelle care persone a cui avevo affidato i cavalli mentre aspettavo la burocrazia mongola, me ne avevano combinata un’altra. Oltre a farmi marcire Azimuth e aver usato allo sfinimento Tgegherè, si erano pure rubati i ferri.
Belli questi mongoli quadrati dell’Ovest della Mongolia, sono capaci di demolire la reputazione di tutto il paese con le loro zingarate. E quella famiglia era già la migliore che ho trovato da quando ho capito che avrei dovuto lasciare i cavalli a qualcuno. Sono già stati gentili: non se li sono mangiati.

Ribattitura con accetta

Comunque senza ferri non potevo proseguire e così la prima avventura di questi cavalli in Repubblica di Altai é stata la mascalcia.
Sono arrivati in tre, più Sasha e Valora che hanno dato una mano. In totale cinque persone per mettere i nuovi ferri ai cavalli.
Mi avevano parlato di questo metodo per ferrare dei nomadi come di una pratica molto barbara, ma adesso che l’ho visto, mi sembra una cosa molto bella.
Hanno cominciato con Tgegherè. Lo hanno fatto sbilanciare e lui si é trovato per terra senza neanche capire cosa fosse successo. Gli hanno legato le quattro zampe e messo un lenzuolo sotto il muso per non farlo appoggiare a terra. Uno degli uomini gli teneva la testa e lo accarezzava. Lui ha tentato un paio di ribellioni ma si é lasciato convincere che non era il caso.
Intanto uno per volta, gli hanno inchiodato i ferri e tirato i chiodi. Quando é stata l’ora di fare l’altro lato, lo hanno girato sulla schiena, hanno spostato il telo di cotone e hanno ricominciato dall’altra parte. Quando hanno finito, gli hanno slegato le zampe e tutti si sono allontanati al volo. Tgegheré si era talmente rilassato con tutte quelle carezze che é rimasto sdraiato, come se ne volesse ancora.
Stessa storia per Azimuth, ma lui si è ribellato un po’ di più.

La squadra al gran completo: maestro, chirurgo, dottore, professore, aiutante e collaboratore.Tra un cavallo e l’altro, tutti all’ombra nella legnaia. Il tempo di una sigaretta, per chi fuma e poi di nuovo sotto il sole.

Da noi sarebbe improponibile impegnare quattro o cinque uomini per più di mezza giornata per ferrare solo due cavalli. Trovare qualcuno che parlasse la lingua a cui sono abituati, li ha rasserenati. Pian pianino prenderanno altre abitudini anche per quanto riguarda i piedi, ma non possono imparare tutto insieme.
Quando viene il maniscalco, deve poter lavorare con animali che collaborano, per collaborare devono capire che non c’è niente di cui preoccuparsi.

Rotondo e quadrato

Liuba e Sasha

La Russia non è la Mongolia. Quello che la gente al di qua della frontiera sa dei mongoli é che vivono nel deserto, sono dei primitivi e bisogna guardarsi da loro. Se penso a tutte le belle famiglie che ho incontrato non riesco a dare una logica a questa impressione molto comune. Se penso agli ultimi mongoli in cui sono incappata prima di passare la frontiera, devo dargli ragione.
Per trovare un equilibrio tra queste due facce, credo che il motivo principale della differenza tra la maggior parte dei mongoli é quelli di frontiera sia dovuta alla circolarità delle loro tende, delle loro vite e delle loro stagioni. Avvicinandosi alle strade, abitando in palazzi, bazzicando sulla frontiera, é più difficile rimanere rotondi e quei mongoli che si fanno conoscere all’estero, sono quelli quadrati.
É stata una batosta scontrarmi con quegli spigoli e quando sono arrivata in Russia avevo un enorme bisogno di umanità.

Laboratori all’aria aperta

Sasha e Liuba, gente di Altai. Compiti ben precisi: mentre Giovanni e Sasha andavano a recuperare la benzina per il viaggio, Luiba mi ha offerto il tè. Qui non è più salato e ci sono molte differenze, ma quel gesto mi ha rinfrancata. Di qui e di là dalla frontiera ci sono persone rotonde e quadrate. Sta a me cercare la strada più rotonda possibile.
Liuba vuol dire Amore, lei è una nonna decisa e dolce insieme. Una volta cantava ma adesso la sua voce é invecchiata e ha deciso di non cantare più. Mi é capitato di sentirla canticchiare tra sé e sé, ma credo che quando cantava, fosse un’altra cosa.

Nel laboratorio da scultore ci sono andata con Suraya e insieme ci siamo stupite trovando una bandiera della Mongolia. Regalo di un amico di Sasha e quindi preziosa.

Sasha é di quei tipi di persone che aggiustano qualsiasi cosa anche se non ci sono pezzi di ricambio. Il cortile ha diverse aree coperte e ognuna racconta una piccola attività in miniatura: legno, ferro, ferramenta. Da una specialità all’altra, Sasha deve fare otto passi.
Sul lato dei recinti delle capre c’è l’unica porta chiusa a chiave. Lí Sasha scolpisce intarsiando le ossa con il coltello e svelando cigni, fiori, cavalli e stelle che fino al suo tocco magico erano invisibili per chiunque altro.

Valora con Azimuth e Tgegheré

I figli hanno le loro vite ma girano per casa dando una mano. Valora e sua moglie Suraya raccoglierann il fieno per le capre di Sasha é Liuba, appena finiranno di riporre il loro. Ogni giorno passano a salutare e portano quello che può servire da Kosh Agach.

Pronti a raccogliere il fieno.

I nipoti vanno e vengono con gli altri ragazzi del paese e non si capisce mai chi abita dove.
Altai. Un’altra lingua che non è il russo e in alcune parole mi ricorda il mongolo. Lo sciamanesimo é sopravvissuto al secolo scorso ed è molto sentito. Il cielo é vicino in questo pezzo di Russia. Ghiacciai scintillano al sole sui due versanti della valle che porta qui e fiumi e torrenti corrono i fianchi di queste montagne dissetando migliaia di animali al pascolo.

Andiamo a fare bere i cavalli?

Solo dopo aver bevuto il tè di Liuba si é rotto l’incantesimo che mi impediva di vedere tutte queste cose. Un tè rotondo.

Oggi meglio di ieri

-Can i help you?
Appena scesa alla stazione degli autobus di Gorno Altajisk con il mio ingombrante bagaglio, sono stata circondata dai taxisti. Non vedo l’ora che finisca questa storia,, mi sembra di essere una carogna pronta da sbrindellare.

Povero equipaggiamento

Da un momento mi sembrava di averli messi a fuoco tutti e si è aggiunta ancora la voce in inglese. Guardo per terra e quando rialzo lo sguardo sono spariti tutti tranne Пётр che non è un taxista ma il guardiano della stazione. Ha indagato su cosa cercassi e si è preso la briga di accompagnarmi personalmente al maneggio.
Lí ho trovato qualche soluzione è Pit si è offerto di tenere il mio materiale nel suo garage. Siamo andati a casa sua e Marina, sua moglie, mi ha adottata con naturalezza.
Siamo entrati in giardino dal garage, l’erba verde, il pollaio, le aiuole con i fiori e la serra sono una novità inspiegabile dopo la Mongolia. La stanza del pianoforte con i quadri della figlia e una chitarra appesi alle pareti. La cucina immacolata e la porta sul terrazzo aperta e in terrazzo la vera cucina con una pentola per fornello e la tavola apparecchiata. Che bella la cucina all’aperto!
Abbiamo mangiato insieme, poi Pit ha preso la chitarra e mentre Marina preparava ancora un tè, loro cantavano.
Il mattino dopo sono ripartita per Barnaul e ho cercato di smuovere un po’ di cose, ma la lentezza degli uffici in Mongolia mi obbliga a rimandare continuamente la partenza per la frontiera.
Non sapevo dove andare e gli ho chiesto se potevo tornare da loro. Mentre ero lì, dalla Mongolia sono arrivati brutti scherzi ogni giorno e ogni giorno ero lì lì per rinunciare ai cavalli. Poi mi tornavano in mente i mesi trascorsi a girare a vuoto per gli uffici di Ulan Bator e mi veniva male. Quando stavo peggio, arrivava Pit e mi chiedeva: – Come va?
– Oggi meglio di ieri
Rispondevo con la frase che mi aveva insegnato il giorno in cui l’ho conosciuto. E così, a forza di ‘oggi meglio di ieri’, anche quando non sembrava affatto così, mi hanno fatta arrivare al giorno in cui tutti i documenti erano pronti e potevo davvero sperare di andare a prendere i cavalli alla frontiera.
Gli sono grata per avermi alleggerito questi giorni e per avermi continuamente ricordato di guardare in avanti.

Frontiera

Sono abituata a passare da una parte all’altra della frontiera tra l’Italia e i Paesi limitrofi cavalcando tranquillamente in cresta. Riconoscere un cippo di confine tra le pietre mi ha sempre fatto una certa impressione ma praticamente niente limitava la mia libertà di movimento.
Ho costeggiato il confine Mongolia Russia per quattro giorni e tutto quello che per me è sempre stato solo un’impressione si é materializzato.
Quattrocento chilometri di filo spinato tirato a tre altezze fino a un metro e mezzo dal lato della Mongolia.
Dai dieci ai cinquanta metri di terra di nessuno e un altro tiro di quattrocento chilometri di filo spinato a tre altezze fino a un metro e mezzo sul lato della Russia.
Guardie a cavallo battono quest’area con il fucile a tracolla e il binocolo legato al polso, certi li vedi, altri no. Le guardie sparse sul territorio sono tuvani e mongoli, sanno nascondersi e guardare.
I lavori non sono ancora finiti e i soldati vanno avanti ogni giorno seguendo le draghe che piantano i picchetti. Telecamere registrano con gli infrarossi i movimenti notturni.
Dicono che questo lavoro servirà per impedire alle popolazioni di erbivori selvatici di portare malattie e parassiti da una parte all’altra della frontiera. Questa barriera separa Tuva e la Repubblica di Altai dalla Mongolia.
Avevo il cuore pesante all’idea di lasciare la Mongolia, netta la barriera che mi impedirebbe di rientrarci per sbaglio.
Tra questi due paesi non ci sono tensioni e la frontiera si manifesta così duramente. Tra paesi in guerra, cosa ci deve essere allora?
Non ho fatto foto, neanche alle guardie a cavallo. Cavalli mongoli ben tenuti e in forma, selle mongole, bisacce di traverso alla sella, anfibi, uniforme da lavoro mimetica, zaino mimetico, cappellino con visiera mimetico, fucile. Ridevano come se stessero andando a fare una gita. I cavalli progredivano affiancati spalla a spalla, ginocchio a ginocchio i cavalieri.
Passo veloce, il sole faceva strizzare gli occhi a loro e a me. Giovani, ottimi cavalieri con l’allenamento della naja nei muscoli, credo che vivano la frontiera come un gioco. Mi si é stretto lo stomaco. Erano già lontani.
Mille e mille come loro eseguono ordini per gioco in ogni parte del mondo. Ordini facili e ordini difficili. A quell’età sei invulnerabile. L’ordine arriva dall’alto e sei anche innocente. Innocente davvero, questa è la tragedia di chi vive e chi muore su confini ben più rumorosi di quello tra Russia e Mongolia: la tragedia di morire da innocenti. Non credo che sia l’ordine la tragedia. Di ordine c’è bisogno ovunque e non c’è n’è.

La strada proibita

Giovanni Tagliaferri, ex tornitore di professione, ex alpino per attitudine, moglie e tre figli, nel 2005 é partito per la prima volta da Bergamo con la sua auto per andare a Tuva. Aveva letto di quel posto dove nei secoli erano stati confinati tutti i reietti dell’Impero, dove la natura dominava ogni umana ambizione e dove sopravvive tuttora una società arcaica: quella dei nomadi di Tuva.
É partito, tornato, ripartito e ritornato, ogni volta ha modificato l’itinerario per approfondire la sua scoperta dell’umanità che abita queste terre così remote e tornare a trovare persone incontrate nei viaggi precedenti.

L’auto di Giovanni é una calamita: sulle fiancate ha attaccato adesivi che raccontano le sue traversate e le carte con gli itinerari sono comprensibili in qualsiasi lingua.

Armi e bagagli e un piano assai improbabile in mente, avevo trovato un passaggio in autostop dalla frontiera di Tsaganuur su un furgone pieno di kazakh di quelli che fanno la spola a decine su questo colle.
Con la caduta dell’Unione Sovietica gli spostamenti tra Kazakhstan e Mongolia sono diventati delle epopee. Molte famiglie sono divise da una parte all’altra e per raggiungere i loro cari devono scegliere se attraversare Repubblica dell’Altai e Altaskji Kraj per entrare in Kazakhstan da nord o la Mongolia Interna alla Cina per entrare in Kazakhstan da sud. Entrambi i valichi sono a un migliaio di chilometri dall’uscita dalla Mongolia. Hanno passaporti speciali e non gli é richiesto il visto.
Come arrivare a K-yzil era una questione assai difficile da risolvere, ma Eenee mi aveva assicurato che là avrei trovato la persona giusta far passare la frontiera ai cavalli.

Ho visto l’auto di Giovanni a Kosh Agach, ero appena entrata in Russia con tutto l’equipaggiamento di due cavalli ma senza cavalli e mi ero alleggerita lasciandolo in una gastiniza in modo da poter andare a cercare una soluzione per proseguire la caccia al tesoro.
Poter parlare italiano con una persona che aveva il mio stesso senso per l’avventura é stato un sollievo.
Ha dormito nella sua tenda vicino alla gastiniza e il giorno dopo siamo partiti insieme per Tuva. Lui doveva andare a K-yzil e io anche.

Motore acceso, acceleratore al massimo, stivali da pescatore.

Abbiamo conosciuto Sasha che si è messo a nostra disposizione per farci da guida con la sua moto sul primo pezzo di pista, quello più incerto. Un’avventura. Dopo un grosso fiume, l’acqua ha distrutto le candele della moto e da quel momento ogni partenza è stata una tribolazione finché la moto non è più ripartita e noi abbiamo proseguito da soli.
Ci siamo lasciati con un arrivederci.
Dopo una cinquantina di chilometri in cui assomiglia a un sentiero, la pista diventa una sterrata molto curata e non bisogna più preoccuparsi di nulla se non di godersi il paesaggio di ghiacciai, fiumi, paludi che scintillano al sole e gher russe abitate da gente di Tuva e circondate da animali al pascolo.

Che bella la gente di Tuva!!!

Una meraviglia.
La sera dopo eravamo a K-yzil dagli amici di Giovanni. Lui pianista, originario del Volga, lei direttrice dell’Istituto musicale di Tuva, tuvana. Si sono conosciuti a Mosca al conservatorio e adesso vivono qui.

Ero finalmente a K-yzil, l’amico di Eenee si è vaporizzato e non c’è stato verso di rintracciarlo. Come molte persone aveva parlato di poter muovere mari e monti finché io ero ancora in Arkhangai, e non aveva minimamente considerato che io un giorno sarei davvero arrivata alla frontiera.
Bene, mani in tasca dopo aver caricato i bagagli nel baule di un blablacar, decido di partire per Barnaul per tentare l’ultima carta: quella più improbabile: andare personalmente all’ufficio dell’Istituto Zooprofilattico.

Prima di partire ho salutato Giovanni, ci siamo presi un gelato super chimico per far finta di essere al mare e poi abbiamo continuato i nostri viaggi. Lui adesso é a Novosibirsk, dove ha incontrato suo figlio con cui rientrerà in Italia per fine settembre. Io sono sulle rive della чуя e finalmente sono di nuovo in sella.