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Tchutur

Tchutur: pastoie mongole.

I cavalli mongoli sono poco più che selvatici. Gli vengono insegnate poche cose: nei giorni in cui lavorano devono saper stare legati tutto il giorno sotto la pioggia e sotto il sole. Dal momento in cui hanno un cavaliere in sella devono fare tutto quello che gli dice il suo filetto che è molto sottile e lungo e in ogni manovra viene tenuto tiratissimo. Devono saper stare legati alla corda lunga senza annodarsi. Devono saper pascolare con le pastoie quando si trovano lontani dal loro accampamento.

Filare

Raccontata così sembra una vita terribile ma rude non significa cattivo. L’uomo di cavalli tiene il suo branco tra le mani anche quando è lontano al pascolo perché ama la libertà dei suoi animali dal primo all’ultimo. Per ottenere la fedeltà di quelle criniere, chiarisce ad ognuno di loro, fin da quando sono puledri, quali sono le regole e quali sono i momenti in cui su quelle regole non si transige. Fuori dal campo è la legge del branco. Nel campo è la legge del campo. E in viaggio? Forse le pastoie sono la legge del viaggio?

La prima volta che ho visto quelle pastoie al mercato sono inorridita: una sottile striscia di tela o cuoio crudo intrecciata in tre manette da abbottonare ai pastorali dei due anteriori e del posteriore: tre piedi legati.
Le ho viste abbottonare prima di ogni richiesta fuori dell’ordinario che fosse una vaccinazione o una marchiatura. Nessuna bazzecola. Azioni necessarie.
I cavalli hanno appena il tempo di capire che sta per capitare qualcosa che é già successo.
A casa il pascolo é libero. Loro vanno dove preferiscono, al mattino il pastore li cerca con il binocolo, li raggiunge e li porta a bere. Rimangono al campo i cavalli che devono lavorare, gli altri tornano a pascolare in libertà.

In viaggio non si può. In viaggio mancano i ‘soliti posti’. In viaggio il pascolo é vincolato dalle pastoie di giorno e dalla corda lunga di notte. Il vantaggio del viaggio é quello di trovare ogni notte un pascolo diverso dalla notte prima. A distanza di venti trenta chilometri cambia tutto: il profilo delle montagne, la durezza dell’acqua e il colore dell’erba.
Credo che questo sia un motivo per cui un viaggio a cavallo non sia solo un viaggio per il cavaliere ma anche per i cavalli che avanzano con lui.

Lo vedo da come questi due buttano la testa in qualsiasi erba appena la troviamo.
Quando sono legati con la corda lunga, Azimuth e Tgegheré non possono avvicinarsi. devo calcolare la distanza dei picchetti in modo che non corrano il rischio di legarsi a vicenda. Con le pastoie viaggiano insieme qui e là da un ciuffo di erba all’altro e mi sembra che si raccontino le loro cose. Con la corda, vivono i confini del cerchio di erba a loro disposizione come uno spazio privato dove riposare, mangiucchiare e rotolarsi.
Entrambe le ‘torture’ sono occasioni di serenità.
Le pastoie che mi sembravano tanto terribili mi permettono di fargli godere i posti che raggiungiamo come più gli aggrada.

Mungitura diluita

In questo paese senza stalle né tettoie gli animali vengono munti sempre alla stessa ora: sia la mattina che la sera.
Il Dell che è l’abito comunemente usato per ogni lavoro ed ogni festa è un indumento molto caldo, che ripara molto bene dall’aria che tira sempre ma non è affatto impermeabile.
Dev’essere qualche magia che tiene al riparo chi sta sotto la pioggia a mungere e i suoi animali.
Più a est, dove c’erano gli yak, i vitelli venivano rinchiusi in recinti e fatti uscire al momento in cui la madre doveva essere munita, qui c’è solo una linea di attacco dove vengono legati e sciolti un attimo prima che la madre venga munta.

Linea di attacco dei vitelli di Gana con arcobaleno.

La pioggia inzuppa le schiene degli animali e corre lungo i fianchi scolato a terra giusto prima di raggiungere le mammelle. Una tettoia portatile per proteggere il latte! Ma il secchio no, il secchio è riparato dalla mammella solo mentre si tira il latte. Mentre viaggia da una mamma all’altra è libero di accogliere tutto quello che arriva dal cielo e in questi giorni è acqua.

La gher della penna

Meno male che quando vedo una penna di falco non posso resistere, devo scendere di sella e raccoglierla. Stavo andando dritta dritta sul versante sbagliato. Un falco ci è volato sopra talmente vicino che potevo quasi toccarlo. Dietro la curva una penna per terra. Sono scesa di sella, ho guardato la bussola e ho visto che stavo sbagliando tutto. Con le nuvole basse è più difficile sapere dov’è il sole!
C’era una gher dall’altra parte del fiume, ho fatto bere i cavalli e sono andata a chiedere. Mi hanno mostrato la strada giusta, potevo recuperarla da lì.
La penna mi ha fatto ritrovare la via appena dopo averla persa. Non c’è l’ho più, l’ho lasciata a Bolormaa, nella sua gher non c’erano segni di buddismo ma delle penne e pelli colorate. Mi è dispiaciuto non poterle raccontare come era venuta a trovarsi tra le mie mani. Credo che fosse una di quelle persone per cui una penna è preziosa.

Un clan intorno a Bolormaa

Luce e tenebre di un giorno di temporali

Dall’alto si vedeva una fila di laghi salati in mezzo alla pianura. Temporali sulla fila di montagne a nord. Temporali sulla fila di montagne a sud. Erba verde e luce intorno a un grumo di casette di tronchi e alla gher di fianco al terzo lago. Cavalli che vanno e vengono e animali al pascolo in una sfera di luce.
– posso accamparmi qui?
una ventina di uomini e una donna piena di energia e delicatezza. Non sapevo a chi rivolgermi.
-sì

Il clan di Bolormaa

Orgilsaikhan mi ha legato i cavalli alla colonna sbilancia della baracca più grossa, quella vicina alla gher.
Tè bollente, ne avevo proprio bisogno oggi.
Le stesse persone che avevo davanti fuori, le avevo intorno dentro. Queste tende sono quasi tutte di 5 muri, la superficie è sempre la stessa, dentro ci possono essere da due a trenta persone e sembrano sempre accoglienti. Giuste.
Mi hanno aiutata in venti a montare il telo, scaricare i cavalli e piantare i picchetti.
Sono stata con loro finché non è finito il giorno. I bambini hanno portato a bere i cavalli per provare le selle. Tutti insieme hanno intrappolato i cavalli tra le casette per acchiappare i puledri. Hanno lottato di fianco all’edificio con la colonna sbilenca. Chi metteva le pastoie a un cavallo, chi ne dissellava uno, chi ne dissellava un altro. Nessuno,  se doveva andare più lontano di venti metri ci andava a piedi. I cavalli erano lì da tutte le parti, pronti per essere slegati e portare chiunque dove doveva andare.

Lotta con pubblico! ps:qui c’erano degli edifici di legno. erano usati da magazzino e all’occorrenza da ogni porta uscivano le cose più strane ma le persone no: le persone vivono nella gher, la gher é rotonda!!!

Hanno giocato a palla e guardato la televisione. Non c’era mai una voce alta.
Bolormaa cucinava per tutti. Qualcuno é andato a prenderle l’acqua, qualcuno la carne secca, qualcuno la farina. Chi tiene e mette tutto insieme è lei: la più grande di quattro fratelli. Il clan sono loro: una donna e tre uomini e tutti i parenti a loro collegati.

In un momento in cui nella tenda c’eravamo solo lei ed io, ha tirato fuori dal nascondiglio un barattolo di marmellata di rabarbaro da spalmare sul borzok.  Aveva ancora la radice e ha cercato di spiegarmi come farne una medicina che fa guarire da tutto. Mal di pancia, ferite, tosse. Me l’ha scritta in mongolo. Devo chiedere a Yesulen.

Tre sorgenti

I cavalieri dell’Ikh Gol. Li ho visti arrivare mentre mi attardavo nel saccopelo sbinocolando su e giù per la valle. Mi sono vestita al pelo prima che arrivassero. Un enorme gregge che stavano conducendo a Zuunkhangai e loro tre. Il gregge ha approfittato subito della pausa e loro non sono ripartiti finché non hanno visto tutte le cartine del viaggio. Poi sono partita anche io.

L’umanità sparsa in questo paese è incantevole ma quando non c’è, perché mi addentro in aree troppo remote, sono i posti che attraverso a dire la loro.
C’è una pista che collega Zuunkhangai a Ondorkhangai passando ai piedi delle montagne in zone molto arido. Vedendo com’era e vedendo le montagne tutte verdi, ho cercato un’alternativa.

Il territorio compreso tra Zuunkhangai e Ondorkhangai. La pista é quel lungo giro nero. I fiumi sono quelli blu.

Il fiume Ikh Gol su cui mi trovavo ha la sue sorgenti dritto ad ovest del paese. In quelle pieghe delle montagne nascono altri due fiumi: il Bayan Gol che dopo sei sette chilometri verso est, scende a nord e il Zuun Gol che scende a ovest fino a Ondorkhangai. Nel punto in cui si vedono tutte le tre sorgenti ci sono tre ovoo: uno più grande e due più piccoli.
È incredibile come tre fiumi che nascono quasi nello stesso posto possano formare valli così diverse.

Nar Iin Gol: fiume delicato

L’Ikh Gol l’ho risalito attraversando calanchi e aree di forte erosione per arrivare a un vasto pianoro tutto verde di erba vera in cui cantava l’acqua del ruscello.

Bayan Gol: fiume segreto

Il vallone per raggiungere il Bayan Gol era ardito ma erboso, di là invece ci sono solo più pietre. Il fiume in molti tratti non si vede neanche, credo che scorra sotto terra, appare e scompare tra pietre feroce e molto dure. Sali sali e la valle piega a ovest.

Zuun gol: fiume dei cavalli

Raggiunto il crinale a monte delle sorgenti, si scende di qua, le pietre non ci sono più e nella valle del Zuun Gol ci sono persino degli alberi sul versante a nord.
In tutto il giorno abbiamo incontrato solo rapaci fino a qui dove pascola un enorme branco di cavalle con i puledri. Pascolavano su questo promontorio da cui si vede tutta la valle sottostante. Mi sono accampata al limite della loro area, loro si sono spostati un po’ più in là.
Non ci sono sentieri. Le uniche indicazioni che avevamo erano le forme dei crinali e le direzioni dei fiumi. La valle ai nostri piedi sembra qualcosa di incontaminato.

Cercavo una pietra per piantare i picchetti dei cavalli, ce ne sono qui e là nell’erba. Quando l’ho alzata ho avuto l’impressione di aver smontato qualcosa e, guardando meglio, ho visto che faceva parte di un cerchio di pietre messe lì chissà quando da qualcuno che aveva i suoi motivi per riconoscere qualcosa di speciale in questo posto. Non sono riuscita a rimetterla com’era.

Il lago di sale

Mi sono accampata nell’unico posto con una parvenza di erba vera. Poveri cavalli. Ci sono posti dove tutto questo asciutto è proprio una dannazione. Erba che si possa chiamare erba l’ho vista solo vicino ai fiumi. Molte volte solo una striscia di una ventina di centimetri lungo l’ argine. La corda a cui sono legati i cavalli durante la notte è lunga 14 metri, quindi la superficie in cui possono muoversi quando sono legati è abbastanza grande. Una notte ho dovuto spostargliela quattro volte affinché mangiassero qualcosa.

Da lontano è tutto verde, poi ti avvicini, guardi per terra ed è così

Acqua ne trovo ma nella regione in cui siamo adesso è spesso salata. Sui bordi dei corsi d’acqua e dei laghi, dove il livello è sceso, si vede il sale coprire il fango. Oggi abbiamo varcato il confine tra lo Zavkhan e l’Ovs. Il confine passa sul lago Zavdan Nuur che sulla cartina è segnato come salato ma è molto più sale che acqua. Non mi sono avvicinata: non si vedevano gher né animali su questo versante e quello che avrebbe dovuto essere acqua salata era una spietata superficie bianca che faceva venire sete a guardarla.

Questo Gregge è venuto fino a qui a bere in questo resto di lago ormai bianco. L’evaporazione ha portato via la maggior parte dell’acqua e si sente odore di riduzione come nelle saline della Sardegna

Piove tutti i giorni, ma è come se l’acqua non riuscisse a colmare l’aridità.
Piove con il vento e forse è lui che se la porta via.
Ci sono delle piante grasse e delle artemisie dall’odore pungente che coprono di verde monti e valli ma nessun erbivoro li mangia. Fanno fiorire le cavallette. Quando sento quell’odore verso sera mentre cerco un posto per accamparmi, mi viene male..
In quei posti ovviamente i nomadi passano e vanno e non ci sono gher. Sembra tutto verde ma quando arrivi e l’erba è finta, viene il magone. Qui si sentiva appena. Per fortuna, dopo averlo avuto intorno per tutto il giorno!
I cavalli hanno cacciato il naso nell’erba e ho solo più sentito tritare.

Il lago salato è più bello da lontano.

La gher nella scodella

Dentro una scodella di roccia, vive un mondo di erba

Sulla mappa è segnata una pista che da Bayarkhaikhan punta dritta a ovest fino al confine con l’Ovs. Molti bivio portano di qua e di là ma scegliendo sempre l’ovest li ho risolti. Raggiunto il colle si capiva che non avremmo più dovuto salire e stavo già festeggiando quando un altro dubbio è venuto a guastare la festa. Dritto a ovest c’era una montagna e la pista si divideva in due. Stavolta qual era quella giusta?
Il colle: una spianata di erba non erba e sassi. Un vento da non stare in piedi e le due strade.
Nessuno.
Pietre e pietre.
Il fumo di una gher che sale tra le pietre!
Non c’era e invece c’era. In quel punto una depressione del colle foderata di erba vera nascondeva due gher, un recinto pieno di pecore e una famiglia intera che le stava tosando. Lì sembrava che il vento non ci fosse.

Il taccuino mi presenta. Nascono sempre domande che non so come rivolgere e a cui non so rispondere.

Il figlio più grande si è allontanato dal recinto delle pecore con me per accompagnarmi alla gher più grande dove la nonna mi ha offerto una scodella di tarag senza zucchero.. Che buono!
Era una gher miracolosa. Chi abbia mai montato una di queste tende sa che l’equilibrio che tiene in piedi la struttura non è affatto scontato e che ogni pezzo ha una parte fondamentale per tenere tutto insieme. La struttura di sostegno di una gher è formata da due pali (pakhan) e una cupola in cui vanno a intestarsi le aste (khan) che sostengono la copertura. In questa tenda c’era un solo pakhan.  La tenda era la più piccola che abbia visto, la sua circonferenza era data da due muri e mezzo tirati al massimo più la porta che era piccolissima. Dentro sembrava come tutte le altre, solo un pochino storta, c’erano le solite cose, un bambino che dormiva in un angolo, la stufa accesa, la mensola con i wok del latte e il secchio del tarag e mi sono scaldata lì corpo e spirito per un momento. Sono ripartita da sola, dopo un momento i cavalli si sono spaventati per il sopraggiungere di un cavaliere al galoppo. Era il figlio più piccolo senza sella, senza niente, ha provato ad accompagnarmi per in pezzo ma noi andiamo troppo piano e si è stufato in fretta dileguandosi al galoppo verso sud.

Mi ha dato l’impressione di non poter credere che si possa fare così tanta strada andando così piano..

La capra davanti alla porta

In un posto così arioso, la carne secca viene molto bene ed è il principale, quasi unico alimento di questa gente.

Chiusi cilindri e bisacce, prima di partire sono andata a salutare. Davanti alla porta c’era una capra appena uccisa. Ursjinkhand mi ha versato il tè, si è messa il Dell da lavoro ed è uscita. Bevuto il tè con Eeghy, sono uscita anch’io pronta a partire.
Lì fuori la capra era già stellato e stavano raccogliendone il sangue. Non potevo partire così è mi sono fermata.
Il sangue non ha avuto il tempo di rapprendersi che le due mezze e erano già appese ad essicare, la pelle piegata a conciare, le interiora lavate e ripulite e i cani avevano già mangiato il poco che restava.

Il vento partecipa dall’inizio alla fine. La terra è vicina e tutto rimane lindo.

L’unica cosa che potevo fare per partecipare alla festa era cambiare l’acqua del secchio e buttare via quella sporca. Sotto il coltello di Ursjinkhand ogni parte dell’animale aveva un suo senso. La semplicità con cui tutto accadeva e la morte di uno diventava vita per tutta la famiglia, riempiva ogni gesto di amore.

La carne stesa a seccare per il bortz

Sono partita molto tardi, c’erano troppe cose da scoprire. Ho spostato il picchetto dei cavalli due volte ma non potevo stare qui per molto. Con quest’erba secca dovevo farli bere.

La gher tra le nuvole

Mentre attraversavamo quella pianura e i cavalli stavano impazzendo per gli insetti, vedevamo lassù due gher. Per venti chilometri niente, lì due pallini bianchi, poi altri chilometri senza niente. Comincio a credere che le gher siano bianche apposta per essere viste da lontano dai viaggiatori. Abbiamo tirato dritto verso i pallini bianchi.
-abbiamo due possibilità: chi abita su quella cresta odia l’umanità o ne ha talmente tanta che puo’ permettersi il lusso di vivere in mezzo al vento.

La gher tra le nuvole

Quassù, su questa cresta rotonda esposta a tutti i venti, gli insetti si sono dileguati e i cavalli distesi.
Questa famiglia vive tra le nuvole e ha un gregge di pecore che copre la terra senza erba come le nuvole rade riempiono il cielo. Terra rossa e pecore, nuvole e cielo azzurro.
La signora delle nuvole stava riparando il tonoo (copertura della cupola sommitale della gher) che aveva bisogno di un rinforzo ai tiranti.
Pensare che bastino due centimetri di feltro di lana per ripararsi dalla pioggia da noi sarebbe impossibile, qui la maggior parte delle tende non hanno niente che copra la cupola centrale. C’è un clima talmente asciutto che anche la pioggia è asciutta!
Vastità intorno e umanità dentro. Marito e moglie, figlia e figlio. Ogni tanto arriva una moto, qualcuno porta qualcosa o cerca notizie e se ne va. Per tutti c’è una tazza di tè e borzok con la crema.
Io sono crollata e quando mi sono svegliata avevano già munto.
Abbiamo mangiato insieme e mi hanno curato la ferita. Per una volta va meglio per davvero. Saranno le nuvole, sarà la cura, sarà che questa resina di una pianta che non capisco cosa sia,  funziona per davvero.

La gher del campione

Da lontano le gher si assomigliano tutte

Nella gher del campione il tempo si è fermato. Sono scesa di sella lì, davanti alla sua porta. La porta era aperta. Lui è uscito e prima di tirare fuori la cartina gli ho offerto una sigaretta. Lui ne ha tirata fuori una, poi ha tenuto il pacchetto tra le mani per un momento e se lo è messo in tasca.
Mi ha proposto una tazza di tè, ho impastoiato Azimuth e Tgegherè e sono entrata.
Come ogni volta sono rimasta stupita da quanto siano diverse queste tende all’interno. Da fuori si assomigliano tutte. L’arredamento di ognuna è disposto nello stesso modo. Ognuna è diversa dalle altre.
In questa regnavano ordine e pulizia, ma c’era un qualcosa di grigio che copriva ogni cosa. Dietro la stufa c’era il bricco del tè che era freddo ma buono. Di fianco al bricco c’era una ciotola piena di harold e borzok (sorta di pane fatto con una pastella lievitata velocemente e fritta nel grasso). Anche quelli erano ingrigiti, come se fossero lì da anni.
Vicino all’altare c’è sempre un quadro con istantanea che ritraggono i membri della famiglia. Qui c’è n’erano due: uno a destra e l’altro a sinistra. Le foto erano molto sbiadite. La moglie del campione si vedeva solo in due di esse: giovanissima e bellissima, ingrigita anche lei. In tutte le altre c’erano lui e i suoi tre figli.
Ad ogni momento si sporgeva dalla porta e guardava verso valle.

Il campione con alcune delle sue medaglie.

Una delle foto riprendeva un momento della gara dei bambini al Naadam. Gliel’ho indicata e lui mi ha mostrato la medaglia che aveva vinto in quella gara e mi ha detto che tutta la fila di medaglie di quel drappo di stoffa erano state vinte da lui alle gare con i cavalli. Altre medaglie erano state vinte da lui alle gare di lotta e adesso è campione di tiro con l’arco. In mezzo a tutte le medaglie troneggiava un piatto argentato che mi sembra di aver capito essere un premio di buon cittadino. Una delle foto mostrava lui mentre lo riceveva dal presidente della repubblica a Ulan Bator.
Non c’era latte in questa gher, lui ha solo capre. Insieme al tè freddo mi ha offerto delle fette di pane e del latte condensato.

Il campione si è messo il cappello per farsi fotografare insieme alla testa dell’orso che ha ucciso tanti anni fa. Sulla destra, il piatto argentato di cui è ancora più fiero.

Per quanto mi fossi guardata intorno, non avevo visto la cosa più incredibile di questa tenda perché, seduta dov’ero, si trovava dietro le mie spalle. Me l’ha mostrata lui prima che uscissi: la testa impagliata di un orso, ingrigita come tutte le altre cose. Si è battuto la mano destra sul petto prima di indicarmela.
Era la tenda di un campione. La gloria di grandi momenti riempiva ogni angolo. Lui e la scintilla potente del suo sguardo sembravano l’unica cosa sopravvissuta. Si capiva che sarebbe stato contento se mi fossi fermata lì, ma ero partita da meno di un’ ora, la giornata era perfetta, i cavalli volenterosi e me ne sono andata. Spero che la persona che stava aspettando sia arrivata presto a riaccendere la scintilla dello sguardo glorioso del campione.