racconto per immagini prima di partire immagini la rotta in generale, ostacoli e itinerario sono teorici, il viaggio è nella mente e non ci starà mai tutto. arriva il giorno in cui ci metti dentro e il viaggio comincia fisicamente a trasformarsi. il primo giorno è una passeggiata di una giornata. Niente è scontato: bellezza e incognito ti stanno a fianco camminando a braccetto. – Fino a qui tutto bene! Cuoio e ferri la strada Pietra e legno la casa. L’inizio di giugno è ricco di luce. Solo montagne a forma di montagna, fiumi a forma di fiume e prati a forma di Prato. Caprioli, camosci e stambecchi. Il Triglavski Narodne Park… dirette al colle per sentiero che si svelava a ogni curva in mezzo a foresta mista di faggi e abeti il colle: una fessura tra montagne ardite discesa per antica strada militare. tracce di confine della prima guerra mondiale tagli della carrozzabile per non dimenticarsi della realtà e finire sulla pista delle radure dove il fiume cambia colore ad ogni curva e le montagne contro il cielo sembrano non finire mai. Piove e smette e ripiove e poi rismette la pista che diventa sentiero da Kraniska Gora ai laghi di Fusine è solo un fine tappa in cui continuano a rivivere momenti del colle di Vrsič. davanti alla chiesa di Madonna della Neve c’è un porticato. protegge dalla neve e protegge dalla pioggia. intorno è un mare d’erba e gli animali sono al pascolo senza recinti. Isotta brucava vicino al portico e quando si metteva a piovere veniva al riparo. la zuppa calda ristorava e tutto il materiale asciugava. siamo ripartite senza lasciare traccia per andare a riempire la borraccia. È andata a finire che qui c’era una stanza aperta e c’era uno svizzero tedesco che sta facendo la Via Alpina e si è fermato qui perchè ha trovato il rifugio chiuso. Si chiama Thomas e l’anno scorso ha fatto in bici un periplo degli USA con il figlio. Insieme erano già andati da Zurigo a Capo Nord andata e ritorno sempre in bici. La scorsa estate è stato in alpeggio a dare una mano a una famiglia di allevatori. Quando gli ho raccontato delle mie intenzioni mi ha detto di guardarmi bene dal parlare di lupi nel Vallese, in montagna sono tutti inferociti. In tutta la Svizzera è così: in montagna si vogliono eliminare tutti i lupi e in città si vogliono salvare tutti i lupi. I pellegrini lungo le Alpi sono quelli che percorrono la Via Alpina. Qualcosa di simile nelle abitudini. Siamo stati silenziosi e fraterni, ciascuno faceva le sue cose e in certi momenti sembrava proprio di avere lo stesso bisogno: questa perfetta quiete dopo la tempesta. Notte sotto telo, tutti gli animali della valle festeggiano il cielo sereno ma non mi fido ancora. Isotta guarda il panorama, come sempre. Musetta e saccopelo. Foresta e foresta e quando sembra che la pista vada a sbattere contro la montagna davanti, volta improvvisamente a destra e comincia a seguire un fiume sempre più piccolo e infossato. Ai lati del fiume che diventa un ruscello la foresta lascia spazio a una striscia di Prato disseminata di ceppaie di alberi tagliati da qualche anno, sempre più larga metro dopo metro finché non si apre in un’ampia valle punteggiata di mandrie di mucche, branchi di cavalli e un modesto gregge di case. In mezzo alla valle continua a scintillare il fiume che salendo diventa un lago. Ne ho perso le tracce in una torbiera brulicante a sua volta di mandrie, branchi e gregge di case. Ci ho trascorso un paio d’ore. Si stava bene. L’acqua era ferma sottoterra, Isotta era ferma sopra la terra e riposava. L’Austria, versanti coperti da foreste curate e alpeggi. Piste senza impronte nell’attesa di inizio giugno. L’erba cresce prima che la montagna si popoli. Primo giorno di pioggia e mentre il cielo voleva cadere per terra eravamo rifugiate di fianco allo chalet gestito dalla signora Tiziana. Nelut, a un ora di foresta dal posto più vicino sia indietro che avanti. Che bello che fosse lì e che ci abbia accolte come ha fatto quando splendeva ancora un bel sole.. ci sono giorni in cui bisogna inventarsi tutto. quel pomeriggio avrei voluto fermarmi sopra Timau e invece avevo impiegato due ore a percorrere due chilometri di un sentiero ben segnalati sul terreno e ben segnato sulla cartina. Isotta era bella riposata: finchè sono ferma a tagliare alberi caduti lei se la gode. Quando siamo uscite da quel dedalo la pioggia era fine e sotto gli alberi non passava. Per me ho montato il telo, per lei bastavano le foglie. Pensavo di essere sazia di avventure ma il sentiero dopo Timau era proprio crollato e l’unica alternativa era la strada carrozzabile diretta al Plocknerpass con due eterne gallerie mozzafiato e lo zig zag successivo che sulla cartina era tratteggiato non prometteva niente di buono. Ci ho provato lo stesso e Isotta ci ha messo tutto il suo ingegno perchè nel giro di poco la debole traccia è diventato un fuoripista per salire al di sopra di una frana di massi. Quando siamo atterrate sulla sterrata del quarto tornante ci siamo guardate in faccia come se gli angeli ci avessero costruito una scala per il cielo. La sera e la notte sono trascorse come un sogno mentre le nuvole infradiciavano ogni cosa senza piovere e una vecchia caserma ora utilizzata dai forestali teneva lontani i nemici dal nostro bivacco. il Plocknerpass alle spalle Ho sempre viaggiato con un vecchio telefono molto frugale, con un po’ di attenzione potevo permettermi il lusso di caricare le batterie ogni dieci o dodici giorni. In quelle occasioni bussavo a una casa, chiedevo in un bar o è anche capitato di utilizzare l’accendisigari dell’auto di qualche pastore e in qualche modo nutrivo quel povero telefono sempre fedele e sempre maltrattato. Ogni volta le esigenze del telefono sono state occasioni per incontrare e conoscere le persone più diverse. Questa volta, dovendo aggiornare il sito per comunicare come si svolgeva il progetto e volendo rimanere comunque in posti il più possibile lontani, avevo bisogno di corrente. Cercavo chi mi potesse sostenere e ho incontrato Paolo che si occupa del commerciale della ditta Giocosolutions di Avigliana. In un modo o in un’altro, senza avermi mai vista prima, senza aver mai sentito niente di questa storia, mi hanno messo a disposizione il pannello grazie al quale sto tenendo le comunicazioni. L’ho provato prima di partire ma c’era sempre il sole, in questi giorni sto scoprendo che anche con molte ore di cielo coperto, riesce a caricarsi abbastanza. È strano dover accudire questa tecnologia, pensavo che sarebbe stata utile e lo è, ma è anche stata in grado di sopportare almeno tre acquazzoni improvvisi e un pestone di Isotta questo la rende anche adatta a semplificare quello che avrebbe potuto essere una complicazione. un alternarsi di nuvole e vento, l’impermeabile fradicio è pesante asciuga veloce, si inzuppa veloce. accudita, ecco come mi sento tante volte. è ovvio che mi occupo di lei, delle sue esigenze materiali. intanto lei a cosa bada? sorveglia, sostiene e a volte sospira per tutte quelle finezze che un bipede non potrà mai più comprendere ‘densamente spopolata è la felicità’ glf ieri credo di essere passata nella valle incantata. So che dietro il velo della nebbia c’erano montagne incantevoli. L’acqua era buona, i prati abitati da animali al pascolo. Le montagne per una volta potevano andare a trovare segretamente le loro amiche montagne in altre valli mentre nessuno vedeva, le nuvole nascondevano le loro passeggiate di roccia. quelle casette tutte simili annidate sul pendio erano fienili. Qualcuna viene ristrutturata fino all’inverosimile e diventa seconda casa, qualcun’altra viene abbandonata al suo destino e un pezzo per volta perde il tetto, poi i muri e si trasforma in un mucchio di pietre e legno. Genio ha ereditato questo e un altro prima che crollassero e non ha la mentalità da seconda casa. il fienile è pieno di fieno e la stalla di conigli. la sorgente butta un’acqua ormai dubbia ma bevibile e l’erba è ancora da tagliare. quando pioveva Isotta veniva sotto lo spiovente e mangiava fieno, quando smetteva scendeva nel prato per brucare e bere. in quei giorni di diluvi mi sentivo meglio se trovavo un riparo per lei. è vero che ha l’impermeabile, è vero che i cavalli sono fatti per stare fuori con ogni tempo ma se posso permetterle di scegliere, preferisco. da Auronzo a Miserin c’è la nuova ciclabile, è in progetto la variante per Cortina, il ramo comune ai due percorsi passa attraverso pascoli e foreste disabitate. disabitate dappertutto tranne che a Pralongo dove c’è un’azienda agricola che è diversa da ogni altro posto: forse per via delle montagne che incorniciano l’orizzonte, forse per via della foresta che circonda i suoi pascoli da ogni lato, forse per il sorriso e la gentilezza di Giulia e Matteo. Provare per credere. LE ALPI DELLE REGOLE Qui ogni foresta e ogni pascolo sono sotto l’amministrazione delle Regole. I confini di ogni Regola sono quelli di un certo numero di famiglie che decidono collettivamente come gestire il territorio. Scendendo dalle sorgenti del Piave si raggiunge una serie di boschi e pascoli trapuntati di mandrie e villaggi e le fontane in mezzo alle case e ai prati dissetano la gola di animali e cristiani. In tutta la Val Venzenda e Venzasa non ho visto neanche un recinto. Gli animali appartengono alla collettività e non serve controllare confini di proprietà. Sembra la valle incantata. Lì ho sentito per la prima volta la parola ‘Regole’ mentre Isotta infiltrata brucava l’erba di quei pascoli. Un passo dopo l’altro siamo arrivate a Cortina D’Ampezzo. Lì di Regole ce ne sono due: una per versante. Viene fuori un’altra importante caratteristica: le dimensioni dell’area sotto il controllo della stessa collettività sono discrete ma non esagerate in modo che il controllo sia veramente capillare e che il numero di famiglie che fanno parte del consiglio non sia troppo elevato anche per riuscire a tenere insieme le teste che ne fanno parte. Possibilità e bisogni: famiglie più numerose hanno più necessità ma danno anche più energia. La collettività è amministrata da un consiglio di cui fanno parte tutti i capi famiglia. Il diritto di parola è solo degli uomini o della sorella maggiore in caso non ci siano fratelli e conserva questo diritto solo se sposa un uomo di Cortina. È vero che sia il Friuli che il Trentino sono regioni in cui sovvenzioni e premi sono superiori alle altre, senza soldi da investire non sarebbe possibile sostenere certe spese. Il fatto che l’obiettivo delle Regole sia di tenere in ordine boschi e pascoli affinché rendano dignitosa l’esistenza di chi ci vive ha come conseguenza che strade, piste e sorgenti siano accuditi anche per chi passa e passando da lì si percepisce la cura che sta dietro ogni pianta e animale. Credo di essere uscita dai territori controllati dalle Regole a Paneveggio. La Foresta è sempre stata demaniale, a partire da metà del lago, dove arriva è sotto la Magnifica Comunità di Fiemme che vanta il documento ufficiale più antico: i Patti Ghebardini, che ne accerta l’esistenza è datato 1187. È da secoli che le stesse famiglie si succedono mantenendo antiche regole e aggiornando tecniche e modelli per curare questo territorio. Funziona! Regoliera sotto la Forcella di Ambrizzola tracce di inverno Grande Isotta. Non riesco a smettere di guardare come affronta ogni passaggio, ogni colle, ogni notte di bufera. Lei non ha scelto quest’avventura, la sta rendendo possibile. Dolomiti velate, spazio per l’immaginazione. Qualcuno lo chiama tempo da lupi la nebbia appiccicata ai versanti impedisce di vedere lontano. Lui non ha bisogno di nascondersi e con passo felpato ed elastico cammina a testa alta sul sentiero. Non aveva più voglia di stare lì con il branco. ogni volta che muoveva il naso c’era qualcuno che lo rimproverava. Prima era il gioco della scuola: ogni morso, ogni digrignare di denti e ogni zampata gli insegnavano un pezzo di vita. Poi basta: ogni volta che riceveva una zampata gli si rimescolava il sangue, se reagiva si ritrovava tutti addosso, se non reagiva si sentiva con le spalle al muro. Se n’era andato ‘senza salutare’. la Lessinia è un buon territorio di caccia ma sul versante di fronte ci sono altrettante foreste e pascoli. Certo che non sarà facile sopravvivere in solitudine: la forza del lupo è nel branco. Uno è veloce, l’altro ha fiuto, l’altro ancora riconosce trappole e imbrogli e non è lo stesso che ricorda tutte le piste e i passaggi sicuri: tutti insieme sono capaci di atterrare un bisonte. Da solo non è la stessa cosa. Partire è una faccenda da lupi. Lo raccontano tutte le storie che ha sentito da quando è nato. Circospetto ha aggirato tutti i posti che gli sembravano pericolosi, ha provato a cacciare da solo e ci è riuscito sopravvivendo per monti e valli fino al passo Rolle. Da lì si entra in un territorio ricco di selvaggina e di pascoli. Per qualche motivo che sa solo lui, quella valle gli è congeniale, è una valle dove riesce a cavarsela da solo. Si è fermato lì e adesso scoprirà cosa significa trovare le risorse di cui ha bisogno. Sa che formare un nuovo branco sarebbe la sua salvezza. Henry Chatillon era la guida di Parkman. A lui piaceva tantissimo il caffè. Lo beveva ‘nero, bollente, amaro: la bevanda internazionale delle praterie.’ Che bel pezzo di strada. Grazie Miky e Ramon! anche con lo zucchero nel caffè… Recoaro, sulla mappa tutte strade sterrate. emergo da una pista taglialegna che si trasforma in un sentiero da cinghiali e raggiungo in cresta un altra pista. foresta, villaggi disabitati, fontane buonissime. saliscendi a non finire per evitare la strada fino a rassegnarmi. dopo un paio di chilometri di asfalto bollente raggiungo un villaggio che ancora non è disabitato -com’è la strada fino a Merendaore? – vai tranquilla, è bellissima, se non c’è l’asfalto c’è il cemento! certo è che avrei preferito un’altra risposta, altrettanto certo è che se queste mulattiere non fossero state rese percorribili, qui non ci sarebbe più nessuno. rassegnata continuo a bollire e cerco di sollevare il morale a Isotta che non è per niente allegra…in premio abbiamo finalmente trovato una mulattiera ancora in ottimo stato e da lì abbiamo raggiunto un prato sterminato con acqua buonissima. Isotta era di nuovo allegra lose di marmo di Verona per coprire il tetto della stalla. colonne di marmo di Verona lo sostengono con alti archi a ogiva, le mucche vengono legate ad anelli di legno fissati ai muri di marmo di Verona e aspettano di essere munte. in quest’architettura la loro attesa somiglia a preghiera. il loro latte nelle mani di Ettore diventa Monte Veronese, si mangia come un qualsiasi altro formaggio ma è quello di Camporetratto quello che preoccupa un allevatore che sale in alpeggio sull’altopiano della Lessinia è soprattutto la mancanza d’acqua. non esistono scorte in grado di superare l’estate se non nelle pozze artificiali dove l’impermeabilizzazione permette di conservare l’acqua del disgelo e delle piogge. Stavo scendendo sul lago di Garda da una mulattiera che mi metteva al sicuro dal traffico del weekend. Sulla strada è tutto un brulicare di gente e qui non c’è l’ombra di nessuno. Avanzo tranquilla proprio in mezzo e di colpo Isotta mi salta addosso mentre sento la frenata di due biciclette che si fermano a poca distanza dalla sua coda. – Ma che succede? – Ciao Paola! Guardo bene, sembrava fatto apposta. Era Simone. Ci eravamo conosciuti al corso da guide a cavallo di febbraio. Passo la giornata nella scuderia che ospita i suoi cavalli e mentre parliamo del viaggio viene fuori la storia del pannello. – posso saldarteli io i fili! In un attimo il pannello torna a rispondere al sole. Già che ci sono faccio alcune modifiche perchè sia più comodo da legare al cilindro. È meglio di prima. Il primo incidente era stato prima di salire sul Brenta. Per fortuna eravamo ancora a tiro della valle dell’Adige ed Enrico Tita, maniscalco che avevo conosciuto il giorno prima, si è inoltrato per quella sterrata, raggiungendoci per rimediare al guaio. Isotta aveva messo un piede in una canalina di quelle che fanno scolare l’acqua dalle strade sterrate. Era rimasta incastrata e per liberarsi aveva strappato tutto. Ferro e unghia. Il ferro era messo bene e l’unghia di metà piede era rimasta attaccata insieme ai chiodi. Bel guaio. Il ferro raddrizzato sull’incudine non era più lo stesso, ma almeno era attaccato. Mentre lo aspettavamo avevo fatto a pezzi una cinquantina di pietre cercando di far leva in fessure di quella roccia inconsistente che è la dolomia. un’incudine è un’incudine, nelle bisacce non ci sta. Robi Kinder, la zazzera bionda sulla destra si porta dietro un’accetta senza manico e si è sempre trovato bene, io avevo un povero segaccio con il manico di plastica. per chi volesse informazioni su attrezzature e percorsi del Brenta orientale, consiglio di affidarglisi ciecamente. L’ultimo orso del Brenta Passando di qui era inevitabile incontrare questo argomento. Nelle Dolomiti di Brenta l’orso non è mai mancato e percorrere quei sentieri con una persona che si occupa di grandi carnivori è stato tutto una scoperta. Elena Guella viene dal lago di Garda e ha sempre avuto le dolomiti di Brenta nel cuore, ha studiato scienze forestali e al momento di scegliere la tesi non se n’è dimenticata: qualunque fosse l’argomento, doveva andare lì. In quel periodo erano stati reintrodotti dieci orsi provenienti dalla Slovenia per rimettere in sesto la popolazione del parco ormai ridotta a tre individui maschi molto vecchi. Stavamo salendo a malga Flavona, il sentiero che percorrevamo sarebbe stato impossibile da trovare se non fossi stata al suo seguito. – vedi quell’albero? Gli orsi sloveni erano stati liberati da qualche tempo, ci era stato riferito che qualcuno aveva visto un orso con un piccolo. Danila aveva ancora il radiocollare e la stavamo seguendo con la telemetria per capire chi fosse il piccolo orso. Lei si spostava in continuazione e ci abbiamo impiegato parecchio tempo. Si capiva che stava arrivando qui, ci siamo messi con l’antenna proprio dietro a quell’albero e lei è arrivata. Era enorme e la sua pelliccia tutta vaporosa la faceva sembrare ancora più imponente. Dietro di lui c’era il piccolo orso. Non era un cucciolo! Era l’ultimo orso del Brenta, l’unico che ha incontrato i nuovi arrivati. La seguiva innamorato come se la comparsa di quest’orsa slava gli avesse ricordato all’improvviso emozioni sconosciute. Lei si faceva seguire ma era molto più attenta. – Click. – Il guardiaparco che era con me ha acceso la macchina fotografica. – Lei ha sentito quel nulla di rumore nonostante tutto quello che stavano facendo lei e il vecchio orso e si è immobilizzata. Ha girato la testa verso di noi e ha guardato dritto dalla nostra parte. – Quei piccoli occhi neri ti guardano fino in fondo allo stomaco. – In quel momento mi è venuto un brivido nella schiena come se mi si drizzassero tutti i peli. È vero che in quel momento lei aveva tutt’altro per la testa, ma incrociare lo sguardo di un animale che ti può distruggere in un momento lascia un segno che ha addosso il peso di tutta la paura dei nostri antenati. Un peso di secoli. – Si è voltata e se n’è andata di là con il vecchio orso alle calcagna. Ho guardato quell’albero, ho guardato dove se n’erano andati quei due quel pomeriggio e mi sono immaginata la scena di quel povero vecchio orso talmente rattrappito da sembrare un piccolo e di quella giovane orsa in piena forma e splendore. Lui è poi finito come finiscono tutti, lei era diventata un’abitudinaria frequentatrice dei villaggi intorno a Madonna di Campiglio. Per evitare disastri si era deciso di addormentarla e rinchiuderla. La dose di anestetico era stata letale e anche lei è finita. È stato un errore, stabilire la dose di anestetico necessaria ad addormentare una persona di cui si conosce perfettamente il peso, l’età e le condizioni di salute e già difficile, erano i primi casi in cui si aveva a che fare con gli orsi dalle nostre parti. Lei è morta, non è più successo di commettere errori così. Siamo poi così sicuri che sarebbe stata così felice a finire la sua esistenza in gabbia con tutti quelli che l’avrebbero davvero voluta morta che sarebbero andati in processione a festeggiare la sua prigionia? scoprire quel sentiero sarebbe stato impossibile. salire gradualmente per piste di taglialegna e sentieri di collegamento tra pascoli e alpeggi abitati da pochi giorni sarebbe stato impossibile. l’unico sentiero davvero bensegnato per infilarsi in mezzo al Brenta è quello che porta a Malga Spora e che di equitabile ha ben poco. il Grostè è una delle mille frontiere che segnano le montagne. su un versante sale la cabinovia che scarica gente e dall’altra regnano aquile ed ermellini.