THE MARCHING WIND di Leonard Clark
tradotto per Garzanti come ‘Alle porte della Mongolia’
Nel ’49 in Occidente si viveva una specie di pace, invece a Pechino non si poteva più stare per nessun motivo, l’esodo di tutte le etnie e religioni non ammesse dal comunismo si disperdeva ad occidente, andando a sbattere contro le catene montuose più alte e sconosciute del mondo. Leggende riguardanti i popoli nomadi che le abitavano avevano reso questo territorio ancora più misterioso.
Pochi di quelli che avevano provato ad entrarci, ne erano usciti, ci si poteva avventurare solo sulla strada per Lhasa, ma solo con carovane numerose e armate, in grado di vegliare sul bestiame e difendersi dai briganti.
Tra quelle montagne spicca il massiccio dell’Amne Machin, montagna sacra per mongoli e tibetani, vegliata da monaci custodi che consentono il passaggio solo ai pellegrini. La lettura di diari e resoconti di sfortunate esplorazioni precedenti ha spinto Leonard Clark a partire per andare a misurare questa montagna. La traversata di un territorio di cui non esistevano mappe in un momento in cui la spinta ad occidente della rivoluzione stava per trasformare questa terra abitata dal vento in rifugio e fortezza di molti profughi è una corsa contro il tempo.
Leonard Clark descrive in questo libro territori e genti che poco dopo sarebbero diventati un’altra cosa. Gli schizzi delle mappe, le foto dell’inserto e le descrizioni sono documenti di un mondo soffiato via poco dopo. Partenze prima dell’alba, marce estenuanti su terreni difficili e con il vento ovunque, la benedizione del Panchen Lama e i mezzi del governatore musulmano di Sining. Il resoconto del viaggio con i ritratti dei componenti della spedizione e le avventure da loro vissute somigliano a un romanzo, ma gli errori sono talmente umani da non poter essere reali.
L’affetto e la nostalgia per tutti loro è inevitabile quando la spedizione si conclude all’ultima pagina e i personaggi tornano ai loro posti nella storia fuori dal libro, dove i loro posti non ci sono più.