2016 08 12 la gente della festa di Sainte Elisabeth
La Montette
Discesa dal col du Mayt mezza demolita dall’andirivieni delle pecore che vengono recintate ogni sera intorno alla capanna del pastore che si trova un vallone più in là. L’ultima franetta ha reso proprio impossibile capire da che parte andasse il sentiero e me lo sono inventato scendendo nei prati di erba gialla e liscia.
Il piano era di accamparsi alla cappella di Sainte Elisabeth a picco sotto di me. Vedo il tetto già da un po’ ma vedo anche molta gente che arriva e mi guarda scendere con il naso all’insù, sembrano scout. Sono scout di Lille che sono scesi qui in Queyras per un campo di servizio di tre settimane. Prestano la forza del loro gruppo all’Association pour la preservation du patrimoine du Queyras, un associazione di volontari che da vent’anni rende al proprio territorio tutte le sue energie, restaurando cappelle, sentieri e ponti che altrimenti andrebbero in rovina.
Il cantiere aperto in questo momento è una via crucis monumentale sopra Abries e oggi questi ragazzi hanno spostato pietre per tutto il giorno.
Saint Elisabeth è stata messa a posto dieci anni fa, unico edificio superstite di tutto il villaggio che è stato bombardato fino alla distruzione totale alla fine della guerra. È un paese verticale, i viottoli girano a monte di quello che resta di quei mucchi di pietre, tavole di larice e ferramenta ritorto e si precipitano verso il fiume. Terrazzamenti verticali a loro volta sostengono fazzoletti miseri di terra in piano. Valeva la pena di sforzarsi così tanto per vivere qui? La fontana spruzza un bel getto di acqua molto buona e lì sotto ci sono ben due torrenti.
Sainte Elisabeth sta in cima al triangolo.
Oltre ai personaggi notevoli dell’associazione e alle poche persone del paese sottostante, si trovavano lì Jean Luc Grizolle, parroco del Queyras e Mario Falchi, un professore di biotecnologie di Milano in pensione che per passatempo è diventato il responsabile dell’aspetto storico del parco del Queyras e ha voce in capitolo in molte associazioni di questo dipartimento.
Passerò solo questa sera in Queyras e ascolto i discorsi di questi personaggi mentre Isotta bruca intorno alla fontana.
– gli allevatori non vogliono prendere i patou, sono pericolosi con i turisti e ci sono già stati dei casi di aggressione. Inoltre se accettassero i patou, vorrebbe dire che hanno accettato il lupo e non è così.
– È più facile che se vedono un lupo lo facciano sparire prima che qualcuno se ne accorga, altrimenti è la fine, cominciano ad arrivare forestali, esperti e controlli a non finire e non si riesce più a lavorare.
– Gli ecologisti lì si lascia parlare, tanto con quella gente è inutile discutere. Nel parco c’è solo gente così, vengono da fuori, non conoscono il territorio nè gli interessa, sono pieni di buoni sentimenti e prendono tutte le decisioni senza alzarsi da dietro la scrivania.
– All’inizio il parco era diverso. Philippe Lamour, il primo direttore aveva scelto il personale tra gli abitanti dei villaggi, era gente del paese e camminava tutto il giorno, poi hanno cominciato ad arrivare impiegati di città per gestire chi stava sul territorio e altri ancora a gestire quelli che gestivano e alla fine non serviva più che nessuno camminasse, l’importante era trovare lo stipendio per questi personaggi qui. Adesso è così.
– Il lupo lo hanno portato in Mercantour dei pazzi ecologisti italiani. Portandolo lì erano sicuri che si sarebbe insediato bene, le montagne sono foderate da greggi che li hanno subito messi a loro agio e da lì si sono sparsi in tutta la Francia.
– Da quando è tornato il lupo molti allevatori hanno cambiato mestiere e adesso le montagne più impervie sono in balia delle piante pioniere e gli alpeggi sono occupati da pastori della foce del Rodano che caricano qui gli animali in estate e poi se ne vanno e non hanno nessun contatto con la gente dei villaggi.
Ho sentito molte cose ma ero stanca e lì non sarei sicuramente riuscita a dormire, mentre tutti cantavano belle canzoni intorno al fuoco ho riempito la borraccia, sellato Isotta e sono partita nella notte in cerca di un prato in piano.
Chissà se ci fosse stato qualche altro personaggio del parco che cosa non sarebbe venuto fuori. Sotto le stelle le parole mi facevano scoppiare la testa come lapilli di una polveriera.
Un bel prato in piano c’era. Eravamo ormai vicine alla Guil. Non ho montato il telo, mi sono svegliata con tutto asciutto.