Il punto più critico dei preparativi in Mongolia è stato la ricerca del posto dove i cavalli avrebbero potuto trascorrere l’inverno al sicuro. Normalmente gli animali in Mongolia non hanno un ricovero in nessun momento dell’anno e vengono foraggiati solo i cavalli da gara. Non c’è agricoltura e il fieno viene tagliato e raccolto nel nord est e al sud verso i confini.
Dovevo trovare una famiglia che si occupasse dei miei cavalli come se fossero suoi, che li foraggiasse per permettermi di trovarli in forma in primavera e che si curasse di metterli al riparo nelle notti più terribili. Avevo bisogno di qualcuno che trattasse tre cavalli qualsiasi come se fossero cavalli da gara dei più preziosi.
Questa famiglia esiste e si trova qui, a 60 km da Ulan Bator, il campo è piantato vicino al fiume che raggiunge la capitale e in quel punto fa una curva intorno a una collina rocciosa che ripara le tende dai forti venti del nord e dove l’acqua accelera al punto da rimanere liquida e disponibile per l’abbeverata anche nel più rigido inverno.
Il posto è questo, nel giorno della foto che è stato uno dei più caldi di quelli in cui ero lì a dicembre, il termometro segnava -30 all’una di pomeriggio. Al campo si stava davvero bene.
questi tre cavalli sono ciò che ho lasciato in Mongolia insieme alla mia sella e all’embrione di un progetto che comincia a prendere forma un mattone sull’altro.
in cerca di un veterinario, ho contattato tutti quelli che organizzano horseback trails qui a Ulan Baatar. Ho incontrato molte persone eccezionali. Tutti occidentali trapiantati qui in modo più o meno intenso e legati al mondo dei cavalieri nomadi in modo più o meno effimero. Seguendo questa pista ho avuto l’onore di conoscere Keith Swanson.
vivo qui da diciotto anni.
e hai sempre fatto questo lavoro?
qui sí
da che parte vieni dell’America?
dalla costa orientale ma la mia famiglia si è trasferita in Idaho e ho sempre vissuto lí
andavi a cavallo in America?
la prima volta che sono salito a cavallo avevo quattro anni. Mio padre è un uomo di cavalli.
che posto era quello in cui vivevi laggiù?
era al limite dell’area wilderness del Parco Nazionale del Fiume del non Ritorno. In quell’area non ci sono strade, non ci sono paesi, non ci può vivere nessuno. È un territorio protetto dalla civilizzazione. Ci ho lavorato come ranger finchè non sono partito per il polo Sud
e cosa facevi al polo Sud?
l’istruttore di tecniche di sopravvivenza e lo station manager in tre diverse stazioni: prima quella americana, poi quella della Nuova Zelanda e negli ultimi anni quella di Greenpeace
per quanti anni hai vissuto in Antartide?
13 anni
e poi sei arrivato qui in Mongolia?
no, prima sono stato ingaggiato dal Sultano dell’ Oman per dirigere i ranger di un’area protetta di 35000 ettari per la preservazione dell’orice.
Ero sbalordita. Credo che per raccontare la vita di un uomo cosí non basti una vita. Quell’uomo era lí davanti a me e abbiamo bevuto un tè insieme mentre la sua segretaria sorrideva quando gli chiedevo di tradurmi alcune semplici espressioni in mongolo. È talmente semplice e forte che è stato la prima persona che ha proposto solo soluzioni a tutte le questioni che gli ho sottoposto e non è andata a sollevare questioni scontate. Ogni domanda un punto.
Un enorme passo in avanti è stato il numero di telefono di uno dei suoi due veterinari, l’ho incontrato, qualcosa può fare ma per la burocrazia devo ancora andare avanti. Procedo piano.
Oggi la mia giornata ha sfiorato altre storie che devono ancora svilupparsi. Prima che me ne andassi, Keithnha detto
-i mongoli amano l’avventura, quella che hai in mente è un’avventura, vedrai che saranno dalla tua parte
Per chi volesse farsi un’idea di quello che fa adesso, questo è il suo sito: