Isotta non poteva immaginare cosa avevo in mente quando mi sono avviata a piedi con lei scendendo dalla Sacra di San Michele e io non potevo immaginare quanto la sua volontà d’acciaio avrebbe influito sulla riuscita del pellegrinaggio. Quella sera siamo state ospitate da Dario e Marinella a Sant’Antonino di Susa. Loro ne avevano già viste di cose e guardavano perplessi il mio equipaggiamento: le bisacce nuove, molte cose inutili nei cilindri, un’intenzione precisa e determinata e una cavalla straordinaria che mi ha insegnato tutto quello che c’era bisogno di sapere per affrontare un viaggio così. Prima il suo nome era Isotta, in una settimana è diventata Isotta Raminga e l’equipaggiamento si è dimezzato.
Da allora non ho più potuto fare a meno di lei. Lei riconosce gli amici, i luoghi sicuri e la via dove non c’è, guarda dalla parte dove sorgerà il sole anche nelle mattine più grigie e non si abbatte mai. Riconosce i nemici e li affronta prima che io me ne accorga. Guai ad avvicinarsi a lei con cattivi sentimenti.
Lei mi ha portata a Santiago da qui, ma soprattutto mi ha riportata a casa e non si è mai saziata di strade nuove e notti di bivacco. Non è sazia neanche adesso che ha ventotto anni e si arrabbia tutte le volte che sello Custode e vado via senza di lei. Non può rimanere in panchina e non la lascerò in panchina.