Cuoio e ferri la strada, pietra e legno la casa: stare e andare come modi di abitare. Questo equipaggiamento ogni sera diventa dimora. Ogni mattina diventa vestito.
Cara Laurence, finalmente sono tornata dai cavalli, in questi tre mesi gli sono cresciute le criniere. Spezzare il viaggio è stato come una lunga apnea piena di incognite. Quando li ho lasciati erano cadute tutte le foglie e il mondo era vestito di oro, adesso i tronchi delle betulle si mimetizzano nella neve e sembra di camminare sui diamanti. E’ ora di ingrassare selle, bisacce e testiere. Adesso sono qui e a giorni riuscirò davvero a tornare in sella. Non vedo l’ora di raggiungere i villaggi dei cosacchi. So che sono tuoi amici. Se li senti, avvisali del mio arrivo.
Spero di tornare qui con te un giorno.
paola
ps: di strada sono passata da Amina, mi ha accompagnata lei alla stazione di San Pietroburgo. É stato proprio un nell’incontro.
Esco di notte a cavallo per il campo,
notte buia, andiamo piano.
Il cavallo ed io andremo insieme al campo (x3)
La grazia della notte copre il campo di stelle,
Nessuno sarà visto nel campo ,
Solo noi lo solcheremo in sella: cavallo e cavaliere.
Noi cavalcheremo al campo
Ti porterai attraverso il campo per me
Nel mio campo infinito (x2)
Fammi vedere una volta,
dove il campo crea l’alba.
Alla luce del mirtillo rosso, scarlatto nell’alba,
Il luogo dove il sole si alza da terra lo vedono tutti, ma nessuno ci può andare(X2)
Polyushko mio, sorgenti.
Luci dei villaggi lontani.
Segale dorata, sì lino riccio,
sono innamorato di te Russia, innamorata. (X2)
Sarà un buon anno, è una scelta
andrà comunque, tutto passerà.
Canta la segale dorata, canta il lino riccio,
Canta di come sono innamorato della Russia.
Canta la segale dorata, canta il lino riccio,
andiamo con il cavallo insieme!
Выйду ночью в поле с конём,
Ночкой тёмной тихо пойдём.
Мы пойдём с конём,
По полю вдвоём,
Мы пойдём с конём по полю вдвоём(х3)
Ночью в поле звёзд благодать,
В поле никого не видать,
Только мы с конём,
По полю идём(х2)
Сяду я верхом на коня,
Ты неси по полю меня.
По бескрайнему,полю моему(х2)
Дай ка я разок посмотрю,
Где рождает поле зарю.
Ай брусничный свет,алый да рассвет,
Али есть то место,али его нет.(х2)
Полюшко моё,родники.
Дальних деревень огоньки.
Золотая рожь,да кудрявый лён,
Я влюблён в тебя Россия,влюблён.(х2)
Будет добрым год,выбор он
Было всяко,всяко пройдёт.
Пой златая рожь,пой кудрявый лён,
Пой о том как я в Россию влюблён.
Пой златая рожь,пой кудрявый лён,
Мы идём с конём вдвоём!
Quando il destino propone un dono, domanda un prezzo, entrambi talmente imprevedibili da essere irriconoscibili.
Non so se quando Nikolaji Michailovich Przewalski si trovò stritolato dal tifo, nel bel mezzo del suo quinto viaggio in Asia, si disperò. Sicuramente soffrí. Quando capí che non sarebbe mai rientrato a casa si trovava a Karakol, in Kirghizistan, chiese allo zar di essere seppellito sulle rive dell’ Issik Kul e così fu.
Rimane un mausoleo, é stato pensato anche un museo, la città di Karakol dopo la rivoluzione venne chiamata Przewalsk in suo nome.
L’impronta dell’ultimo bivacco di questo grande esploratore era una semplice fossa con una croce ortodossa di legno. Il luogo é un promontorio che arretra la punta più occidentale del lago Issik Kol: da lí si guarda sul lago e si sente il ‘persempre’, si guarda alla corona di montagne innevate che lo circondano e si sente il senso dell’ avventura.
Cosa significa ‘casa’ per un esploratore? Può essere stato un dono rimanere lí per sempre? O é un dono per tutti gli avventurieri a venire, sognare la fine in un posto come quello, nel bel mezzo di una grande impresa?
Sono andata a porgergli omaggio e spero che la bellezza di quell’angolo di mondo mi resti sotto la pelle. Vorrei averlo conosciuto quando era un uomo.
è da tanti anni che penso al viaggio che sto vivendo adesso. la prima volta che ero stata in Mongolia era solo un abbozzo di idea, era il 2007 ed ero andata laggiù per vedere i cavalli di Przewalski.
La Russia non è la Mongolia. Quello che la gente al di qua della frontiera sa dei mongoli é che vivono nel deserto, sono dei primitivi e bisogna guardarsi da loro. Se penso a tutte le belle famiglie che ho incontrato non riesco a dare una logica a questa impressione molto comune. Se penso agli ultimi mongoli in cui sono incappata prima di passare la frontiera, devo dargli ragione.
Per trovare un equilibrio tra queste due facce, credo che il motivo principale della differenza tra la maggior parte dei mongoli é quelli di frontiera sia dovuta alla circolarità delle loro tende, delle loro vite e delle loro stagioni. Avvicinandosi alle strade, abitando in palazzi, bazzicando sulla frontiera, é più difficile rimanere rotondi e quei mongoli che si fanno conoscere all’estero, sono quelli quadrati.
É stata una batosta scontrarmi con quegli spigoli e quando sono arrivata in Russia avevo un enorme bisogno di umanità.
Sasha e Liuba, gente di Altai. Compiti ben precisi: mentre Giovanni e Sasha andavano a recuperare la benzina per il viaggio, Luiba mi ha offerto il tè. Qui non è più salato e ci sono molte differenze, ma quel gesto mi ha rinfrancata. Di qui e di là dalla frontiera ci sono persone rotonde e quadrate. Sta a me cercare la strada più rotonda possibile.
Liuba vuol dire Amore, lei è una nonna decisa e dolce insieme. Una volta cantava ma adesso la sua voce é invecchiata e ha deciso di non cantare più. Mi é capitato di sentirla canticchiare tra sé e sé, ma credo che quando cantava, fosse un’altra cosa.
Sasha é di quei tipi di persone che aggiustano qualsiasi cosa anche se non ci sono pezzi di ricambio. Il cortile ha diverse aree coperte e ognuna racconta una piccola attività in miniatura: legno, ferro, ferramenta. Da una specialità all’altra, Sasha deve fare otto passi.
Sul lato dei recinti delle capre c’è l’unica porta chiusa a chiave. Lí Sasha scolpisce intarsiando le ossa con il coltello e svelando cigni, fiori, cavalli e stelle che fino al suo tocco magico erano invisibili per chiunque altro.
I figli hanno le loro vite ma girano per casa dando una mano. Valora e sua moglie Suraya raccoglierann il fieno per le capre di Sasha é Liuba, appena finiranno di riporre il loro. Ogni giorno passano a salutare e portano quello che può servire da Kosh Agach.
I nipoti vanno e vengono con gli altri ragazzi del paese e non si capisce mai chi abita dove.
Altai. Un’altra lingua che non è il russo e in alcune parole mi ricorda il mongolo. Lo sciamanesimo é sopravvissuto al secolo scorso ed è molto sentito. Il cielo é vicino in questo pezzo di Russia. Ghiacciai scintillano al sole sui due versanti della valle che porta qui e fiumi e torrenti corrono i fianchi di queste montagne dissetando migliaia di animali al pascolo.
Solo dopo aver bevuto il tè di Liuba si é rotto l’incantesimo che mi impediva di vedere tutte queste cose. Un tè rotondo.
Cammina, cammina, siamo quasi al confine. Più vado avanti, più quello che vedo mi sembra impossibile e più mi sembra impossibile che da qui a qualche giorno dovrò farne a meno.
Mongolia, una terra che somiglia ad un cielo costellato di gher con tutto quello che gira intorno e dentro alle gher.
Più vado avanti e più mi sembra di essere rimasta troppo in superficie, di aver solo guardato il colore della buccia di un frutto coloratissimo, accontentandomi di immaginarne il gusto.
Mongolia: una terra che scorre sotto un cielo enorme. Dove di notte, quando ho potuto permettermi il lusso di non montare il telo, avevo l’impressione di essere in mezzo a una sfera di stelle talmente rotonda, talmente trapuntata di stelle da farmi mettere in dubbio tutta la fisica che avevo studiato a scuola. Dove di giorno le nuvole vengono, vanno, scoppiano in temporali e si tingono di arcobaleni. A volte, mentre domina il viaggio, questo cielo è proprio un compagno di viaggio: fa sorridere, piangere, ammalia e spaventa. Inutile cercare di sfuggirgli, qua non ci sono tettoie e anche nelle gher il rosone centrale é aperto alle stelle, al vento e al diluvio.
Terra e cielo così confusi, hanno preservato un modo di vivere che sembra essere rotondo anche lui, una spirale di giorni che vanno dall’inverno più rigido all’estate più afosa passando attraverso le mungiture di tutti gli animali allevati qui e le diverse lavorazioni del latte, proprie di ogni stagione.
Bayarté Mongolia! Che la parola con cui si saluta quando si esce da una gher risuoni, senza che nessuno la dica, passando questo confine.
Mi piacerebbe saper cantare per salutare degnamente questo paese. Non ne sono capace, mi riempio di questo cielo, cammino su questa terra, scorro le pagine del taccuino magico che mi ha aperto molte porte da Tsetserleg a qui e cerco di rivedere tutte le facce che mi hanno scritto i loro nomi e messaggi. Una folla di sguardi profondi e mani indurite dal gelo mi viene incontro e spero che sopravviva al caos di Ulan Bator che ha un suo fascino, forse dovuto allo stesso cielo che la lega a tutto il paese, forse dovuto alle parentele. Lì é tutto il contrario che qui.
Come ogni volta che vede qualcosa che non conosce, Azimuth é stato subito sicuro che quello fosse un drago ed è stato impossibile convincerlo che era solo un cammello, erbivoro come lui.
Mi sono accampata dietro la gher, su una gobba asciutta che guarda sul lago a ovest e sulla sorgente a est. Erba buona, nessun pensiero per l’acqua e intorno Mongolia densa.
Questa famiglia ha un cammello, una cavalla, qualche mucca con vitello e innumerevoli capre e pecore. I mongoli sono fieri di essere il popolo dei cinque animali. Tante volte, quando ne ho nominato uno in mongolo, bambini e anziani hanno continuato il ritornello: тэмээ, мѳрь, үхр, яма e хѳн, cammello, cavallo, mucca, capra e pecora. Da ognuno di loro viene qualcosa che rende queste famiglie autonome nella cellula del loro танаэ (accampamento).
Qui c’erano tutti.
La cosa che più mi ha stupita peró sono state le capre: vengono munte una volta al giorno e danno una quindicina di litri di latte in tutto ma in questa economia vale comunque la pena di partire a cavallo per portarle alla linea di mungitura e impiegare il lavoro di tre persone per raccogliere il latte.
La linea di mungitura é una corda senza neanche un picchetto buttata in mezzo a un prato, a cui vengono praticamente cucite a due a due, testa contro testa tutte le capre che devono essere munte.
Dal momento in cui vengono legate a quello in cui vengono liberate e corrono dai capretti per fargli finire il lavoro, passa meno di mezz’ora.
Nel frattempo la corda della cavalla é legata alla fune che tiene insieme tutte le capre.
Erano in tre a mungere: madre, padre e figlio maschio di sette anni mentre la figlia femmina era nella gher a riordinare e guardare il terremoto del fratellino più piccolo di tre anni.
Il sole é andato via dalla valle mentre le capre arrivavano e il buio l’ha coperta quando il latte é arrivato alla gher.
Le mucche ruminavano, il cammello era al pascolo, capre e pecore si stavano coricando a est della gher. L’ultima a finire la giornata é stata la cavalla che é stata dissellata quando ormai era notte.
Al mattino, mentre partivo, mi hanno regalato una bottiglia di coca cola e una tavoletta di cioccolato per il viaggio. Non era concesso rifiutare.
Un regalo di Ehnee: un taccuino di carta fatta a mano pieno di frasi in mongolo per poter comunicare con i nomadi. A lui lo aveva regalato un belga fiammingo in viaggio in Mongolia a cui lo aveva dato un ragazzo americano che lo aveva a sua volta regalato un amico che lo aveva tenuto in un cassetto per anni in ricordo di un viaggio in India in cui un inglese glielo aveva lasciato dopo averlo acquistato in Nepal. Nessuno di loro ci ha mai scritto niente.
All’improvviso dopo anni di giri per il mondo, Ehnee lo ha dato a me con queste frasi utili, due pagine in cui è descritto il mio progetto e molte pagine bianche che si stanno riempiendo di disegni, nomi e date dei nomadi che incontro finalmente davvero da quando sono ripartita da sola da Tsetserleg con Azimuth e Tgegherè.
La guida si è rivelata un disagio. Non aveva senso continuare così.
C’è Ehnee che mi copre le spalle da Tsetserleg, lo posso chiamare anche quando non prende il telefono per traduzioni volanti. Partecipa al viaggio occupandosi di Graffio che rimarrà in montagna nel suo branco.
È andata così. Per varie vicende l’ingombro della guida non mi permetteva di incontrare le persone.
Sto cercando di adeguarmi al viaggio con due cavalli, ogni tenda è un incontro e il taccuino somiglia a una bacchetta magica perché sta trasformando questa lingua molto difficile in un modo per chiedere alle persone di mostrarmi quello che amano di più : la loro terra, i loro animali, il loro mondo.
questo servizio apparso sul tg3 regionale giovedì pomeriggio è stato girato a Caprie. l’incontro con Luciana e Stefano che sono venuti qui per raccontare l’idea che ho in mente di realizzare è stato prima di tutto uno ‘stare insieme’. sono persone che ne hanno viste di tutti i colori ma sanno ancora stupirsi dell’umanità.
Ad aprile la scrittrice e viaggiatrice Paola Giacomini partirà dalla Mongolia per raggiungere, a cavallo, Cracovia in Polonia. Novemila chilometri in sella, un viaggio straordinario sulle orme di Gengis Khan. Luciana Parisi è andata a trovarla in Val di Susa. Dal Tg3 delle 14.20 del 15 marzo 2018
Ad aprile la scrittrice e viaggiatrice Paola Giacomini partirà dalla Mongolia per raggiungere, a cavallo, Cracovia in Polonia. Novemila chilometri in sella, un viaggio straordinario sulle orme di Gengis Khan. Luciana Parisi è andata a trovarla in Val di Susa. Dal Tg3 delle 14.20 del 15 marzo 2018
Il punto più critico dei preparativi in Mongolia è stato la ricerca del posto dove i cavalli avrebbero potuto trascorrere l’inverno al sicuro. Normalmente gli animali in Mongolia non hanno un ricovero in nessun momento dell’anno e vengono foraggiati solo i cavalli da gara. Non c’è agricoltura e il fieno viene tagliato e raccolto nel nord est e al sud verso i confini.
Dovevo trovare una famiglia che si occupasse dei miei cavalli come se fossero suoi, che li foraggiasse per permettermi di trovarli in forma in primavera e che si curasse di metterli al riparo nelle notti più terribili. Avevo bisogno di qualcuno che trattasse tre cavalli qualsiasi come se fossero cavalli da gara dei più preziosi.
Questa famiglia esiste e si trova qui, a 60 km da Ulan Bator, il campo è piantato vicino al fiume che raggiunge la capitale e in quel punto fa una curva intorno a una collina rocciosa che ripara le tende dai forti venti del nord e dove l’acqua accelera al punto da rimanere liquida e disponibile per l’abbeverata anche nel più rigido inverno.
Il posto è questo, nel giorno della foto che è stato uno dei più caldi di quelli in cui ero lì a dicembre, il termometro segnava -30 all’una di pomeriggio. Al campo si stava davvero bene.