2016 06 27 Matteo Zeni ed Enrico Dorigatti
Guardiaparco dell’Adamello Brenta
Matteo Zeni si stava dirigendo verso un’arena di canto di gallo cedrone con due tesisti del parco e un custode forestale. Il loro passaggio intercettava una pista di canide precisa, dritta e filata su un centimetro di neve fresca, vecchia di poche ore. Fatto quello che dovevano fare insieme, Matteo si mette a seguire quella traccia, fotografa le impronte, raccoglie campioni di urina, e torna il giorno dopo per seguirla a ritroso fino a trovare il posto dove quell’animale aveva dormito.
Quell’animale era il primo passaggio di lupo accertato nel Brenta dopo 150 anni di assenza, era stato già censito l’anno precedente in Svizzera come M24, ha vissuto per i successivi quattro anni in Val di Non da solitario. È sparito.
Nella stessa area è poi arrivato un altro lupo, sempre solitario. Avvicendamento tra scapoli. Adesso pare che ce ne siano due ma ancora non si sa se il secondo è una femmina.
Nel 1800 orsi e lupi c’erano e c’era anche una sostanziosa taglia per chi dimostrava di averne eliminato uno. C’erano taglie per tutti i carnivori, il loro valore andava in crescendo a seconda dei danni che potevano realmente fare e della paura che incutevano ai cristiani. Gli spazi in montagna erano stretti, era molto popolata e ogni bosco e pascolo erano spesso eccessivamente sfruttati.
La reale competizione con i carnivori che sottraevano bestiame era inasprita da eredità culturali risalenti al Medioevo che mostravano le fiere come animali oscuri. La rivalità con l’orso era aggravata dalla sua figura così dominante. Lui, come il lupo, non abbassa gli occhi davanti all’uomo. Lo scruta. L’uomo è capace di accettare un’animale che lo guarda così?
Un nemico è un nemico e va eliminato. Ma già allora qualcuno fece presente che, se non si faceva qualcosa per fermare lo sterminio in atto, questi animali sarebbero scomparsi.
Stavano per sparire, infatti: gli ultimi sopravvissuti sulle Alpi si trovavano qui in Brenta orientale, erano solo più tre, non più giovani e tutti maschi. Era già tardi per fare qualcosa, era ora di farlo.
Rispetto a cent’anni fa, agli animali selvatici va decisamente meglio adesso. Allora ogni fazzoletto di terra coltivabile era sfruttato fino allo sfinimento, c’era gente dappertutto e per tutto l’anno. Sia per gli ungulati che per orsi e lupi adesso oggi ci sono più cibo, più riparo e più rispetto.
Negli anni Novanta si è deciso di catturare dieci orsi in Slovenia e portarli qui, le due popolazioni erano isolate da un secolo e mezzo, ma la genetica è la stessa. Quando sono stati liberati, l’ultimo orso della popolazione originale ha fatto in tempo a corteggiare le orse “nuove arrivate”, ma non a riprodursi. I nuovi arrivati si sono trovati molto bene nel nuovo territorio e attualmente gli orsi del Trentino sono una cinquantina. Le femmine tendono ad essere più sedentarie e non si allontanano più di tanto dai luoghi di nascita: ad oggi vivono solo in Trentino occidentale. I giovani maschi, invece, spesso si spingono anche molto lontano. Non risulta che siano spontaneamente arrivati maschi sloveni da oltre Adige (ma è accaduto il fenomeno contrario: maschi trentini si sono spinti fino alla Slovenia), nè che le femmine, ad oggi, si spingano al di là del fiume. La Val d’Adige costituisce una barriera ecologica importante, ma di notte gli orsi si spingono fino ai margini di essa per banchettare con mele, mais e uva.
A differenza del lupo, in qualche circostanza l’orso può essere pericoloso per l’uomo. Per sua indole tende a sfuggirgli, ma in circostanze sfortunate si sono già verificati alcuni eventi che lo hanno messo nelle condizioni di diventare aggressivo. C’è una pista in cresta alle prime balze di rocce che sovrastano Trento a ovest dell’Adige, dove la gente va in bici o a correre finito di lavorare, a poca distanza dalla città, ai confini delle foreste che scendono dalla Paganella: un anno fa, là un uomo è stato aggredito, riportandone ferite piuttosto gravi. Stava correndo con il cane e ha sorpreso a pochi passi un’orsa accompagnata da tre cuccioli.
Un paio di settimane fa, quasi nello stesso posto, pare che un ciclista sia stato inseguito per un centinaio di metri da un orso. Dalla sua testimonianza sembra che sul posto ci fossero due orsi: una femmina e un maschio in pieno corteggiamento. Il maschio, infastidito per l’improvvisa e sgradita apparizione dell’intruso a pochi metri, seguita dalla fuga rocambolesca dello stesso (in simili circostanze una fuga scomposta sarebbe sempre da evitare: è di gran lunga preferibile stare fermi o allontanarsi lentamente), ha semplicemente espresso la sua irritazione.
Entrambe le situazioni erano piuttosto delicate. Per sua indole l’orso non ama essere sorpreso, cerca sempre di avvisare i suoi simili delle sue intenzioni e le apparizioni improvvise di ciclisti o corridori lo mettono sul chi va là. Normalmente appena se ne rende conto si dà alla macchia, ma un maschio innamorato di qualsiasi specie ha la soglia di attenzione sotto il limite normale e una madre di qualsiasi specie che si ritrova un intruso in corsa tra lei e la sua prole può perdere la ragione.
È vero che se non fossero stati portati qui quei dieci orsi dall’est, non ci sarebbe questa paura. Ma sarebbe stato giusto lasciar estinguere l’animale simbolo di questi monti?
A molte persone l’orso incute una paura istintiva, pur senza essere più pericoloso di altre cose. Il grande carnivoro colpisce direttamente il nostro essere anticamente animali: parte di una catena fatta di mangiare ed essere mangiati. Gli orsi rappresentano la parte “incontrollabile” della natura, parlare di loro e alimentarne la paura fa sempre presa sull’immaginazione.
L’anno scorso è comparsa su Avvenire una foto che mostrava una trentina di lupi in marcia in mezzo alla neve, la didascalia diceva che erano stati ritratti a Campo Imperatore. In realtà quella foto era stata scattata in Canada. Poco tempo dopo, un’altra bufala legata alla stessa immagine pretendeva di spiegare l’atteggiamento dei componenti del branco (i più forti chiudono la fila, adeguando il passo ai deboli e malati che stanno più avanti, eccetera), stravolgendo la reale biologia del lupo. L’informazione distorta (ma apparentemente attendibile) cattura facilmente l’attenzione del pubblico, che spesso ama sentirsi raccontare versioni edulcorate della natura, non corrispondenti alla realtà.
Altrettanto pericoloso dell’atteggiamento di chi ha una visione della natura eccessivamente poetica e “disneyana”, è quello di chi sventola bandiere in difesa di un presunto “mondo contadino che dev’essere salvato dai lupi e dagli orsi”. Qeuste polarizzazioni rallentano e intralciano la risoluzione dei problemi legati alla presenza dei grandi carnivori. In Trentino, per dire, i forestali che hanno in carico la gestione dell’orso vengono accusati dagli animalisti estremi di “uccidere segretamente gli orsi”, mentre dal versante opposto c’è chi accusa gli stessi di “liberare in segreto nuovi animali”.
In ogni caso, la presenza ormai abituale dell’orso nel Trentino occidentale potrebbe, rispetto ad altre zone alpine, rendere meno impattante l’imminente ritorno del lupo, grazie alla già vasta diffusione di opere di prevenzione dei danni al bestiame domestico, e a un già ben rodato sistema di gestione della presenza dei grandi carnivori.